Diagramma a pinguino |
In un testo letterario, in un romanzo, o
in una poesia, l’uso dei sinonimi contribuisce alla bellezza dell’opera
e a rendere più scorrevole lo scritto. Al contrario, in una
pubblicazione scientifica, o più in generale in un testo a carattere
scientifico, le parole non hanno sempre un significato intercambiabile o
equivalente, e la possibilità’ di usare sinonimi è molto limitata.
Ad esempio in letteratura possiamo usare
la parola “energia”, e sostituirla, qualora sia necessario, con
“potenza”, “veemenza”, “forza”, impeto”, violenza”, impulso”, senza
correre il rischio di rendere incomprensibile il significato del testo.
Nel linguaggio scientifico invece questi termini hanno significati
diversi, e alcuni di essi addirittura non hanno alcun significato.
Energia, forza, potenza e impulso esprimono concetti differenti fra
loro, mentre violenza, veemenza e impeto non hanno un significato
definito, e difficilmente verranno utilizzati in un lavoro scientifico
di qualunque tipo.
Questa apparente pignoleria è
in realtà essenziale per far sì che tutti possano capire senza
fraintendimenti. In altri termini la password per accedere alle
affermazioni di tipo scientifico deve essere nota a tutti, affinché i
contenuti espressi possano essere controllati e eventualmente confutati
da chiunque. L’uso corretto e appropriato del linguaggio rappresenta
pertanto un ingrediente fondamentale della trasparenza e della
condivisione universale della conoscenza scientifica.
Al contrario le pseudoscienze usano il
linguaggio in modo libero e spesso arbitrario, attingendo a piene mani a
termini che non hanno riscontro nel linguaggio della scienza. Questo
non solo ha lo scopo di stupire il pubblico con espressioni piu’ o meno
altisonanti di oscuro significato, ma soprattutto, ed è questo il punto
cruciale, impedisce qualunque contraddittorio di tipo scientifico.
Di fronte a chi chiama in causa le
“trasmutazioni di energia leggera” o il “colore come forza vitale”, la
scienza non sa come reagire, non può controbattere, perché queste
espressioni non hanno alcun significato scientifico. L’utilizzo libero
del linguaggio rende quindi impossibile entrare nel merito delle
affermazioni fatte dalle pseudoscienze, e ne impedisce qualunque
discussione sul piano scientifico. La pseudoscienza, in questo modo, si
svincola automaticamente da qualunque dialettica che abbia una base
scientifica, e diventa libera di affermare praticamente ciò che vuole
senza tema di essere smentita, per lo meno dal punto di vista
concettuale.
L’unico controllo possibile (e doveroso)
resta però quello sui risultati. Se un qualche metodo basato sulla
cromoterapia, ad esempio, afferma che l’uso dei colori è in grado di
curare le dermatiti, o che i fiori di Bach possono curare l’ulcera,
si può essere incapaci di confutare le motivazioni addotte a supporto
del funzionamento del metodo, perché espresse in modo volutamente
oscuro e incompatibile con il linguaggio della scienza, ma si può (e si
deve) controllare il risultato finale, la veridicità dell’effetto
propagandato, utilizzando le opportune procedure di controllo. La
guarigione da una dermatite o da un’ulcera è infatti qualcosa di
oggettivo e concreto, che può e deve essere valutato con gli stessi
criteri metodologici validi per la scienza ufficiale, ovvero nella
fattispecie il confronto con un placebo tramite il metodo del
doppio-cieco. Questo è l’ unico metodo in grado di fornire una risposta
affidabile alla domanda se il rimedio funziona, sia che il rimedio sia
un farmaco, che una qualunque altra ricetta. La corretta valutazione del
risultato è infatti del tutto indipendente dal fatto che si conosca o
meno come è avvenuto il risultato, e non ci sono ambiguità di
linguaggio che tengano: o il rimedio fa effettivamente guarire più di
un qualunque placebo, oppure no.
A questo punto, dopo aver dissertato sul
rigore del linguaggio scientifico, è doveroso citare un aneddoto:
durante una cena fra fisici si discuteva su come il linguaggio
scientifico sia molto limitato, e che certi vocaboli non potrebbero mai
trovare spazio in una pubblicazione scientifica. John Ellis, inglese,
noto e stravagante fisico teorico del Cern, presente a quella cena, non
era d’accordo, e scommise con gli altri che avrebbe pubblicato un
articolo su rivista scientifica contenente una qualunque parola scelta
dai suoi interlocutori. La parola che gli venne proposta fu “pinguino”,
con l’idea che mai un termine simile sarebbe potuto finire su un
articolo di fisica teorica delle particelle elementari. John Ellis
invece pubblicò, su rivista con peer review, un articolo su un tipo di
diagramma di Feynman già noto alla comunità scientifica, descrivente
una particolare transizione fra particelle elementari, ridisegnandolo in
modo da farlo somigliare a un pinguino schematizzato, e chiamandolo
“diagramma a pinguino”. Oggi quei diagrammi sono noti a tutti i fisici
delle particelle come “penguin diagrams”.
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