L’USURA DELLE PAROLE: La “pressione del parlato” è quella spinta innovatrice che il solo fatto
che milioni di persone parlino una lingua – in diversi contesti, livelli
sociali, zone geografiche, e generazioni – dà alla stessa lingua. In italiano è abbastanza evidente che,
finché la nostra lingua è restata quasi esclusivamente legata allo scritto,
praticamente è rimasta inalterata per secoli. Ma appena tutti, sul territorio
nazionale, si sono messi a parlare italiano, tutta una serie di neologismi e
nuovi modi di dire si sono imposti in
quantità mai viste prima, anche se si escludono le parole di derivazione
straniera.
Uno degli effetti più
interessanti della “pressione del parlato” è il fatto che le parole, come consumate dall’uso, sembrano perdere pian piano di pregnanza,
il loro significato perde di “peso”, al punto che si ricorre, spesso, all’uso di ridondanze e ripetizioni. È un
fenomeno conosciuto da qualunque lingua al mondo; per quel che ci interessa – l’italiano – il primo esempio di questo
fenomeno che viene in mente è l’uso
sempre più diffuso di “a me mi”,
tanto che ormai ci si domanda se sia ancora da considerare “errore”, nel
parlato, beninteso.
È abbastanza chiaro
quello che è successo; il “mi” in un
certo senso si è consumato, e i parlanti hanno sentito quindi il bisogno di “rafforzarlo” ripetendolo in
“a me”. Mi piace proprio a me.
MILLEMILA: fatta questa
premessa, possiamo cominciare la piccola riflessione che mi è capitato di fare
recentemente. Un uso che mi pare abbastanza nuovo nella lingua italiana è l’espressione
idiomatica – credo giovanile - millemila,
che indica una quantità spropositata. Dico subito, per far arrabbiare i
puristi, che mi pare un uso simpatico e pregnante.
Pregnante perché non
solo ha valore scherzosamente esagerato,
ma anche perché richiama l’uso,
antichissimo, del “mille” generico, che
indicava appunto una grossa quantità di qualcosa. Esistono almeno due esempi in italiano: millepiedi e millefiori.
Sono tanto antiche queste espressioni che ormai sono diventate delle
frasi “polirematiche”; cioè frasi
fisse che significano altro dal loro significato letterale, tipo “ferro da
stiro” o “luna di miele”. Anzi, si sono addirittura unite in un’unica parola.
Ovviamente non c’è
bisogno di dire che il millepiedi non ha mille piedi (non ha neanche i
piedi, per la verità); né serve a niente precisare che il “mille”, nel miele millefiori, significa svariati, molti,
tutti i fiori presenti sul territorio a cui le api arrivano.
QUINDI: Millemila mi sembra che abbia ancora un
valore scherzoso; e non credo di sbagliarmi affermando che ha ancora un senso
volutamente esagerato, a fianco del più antico e comune “mille” (ho mille impegni); infine bisogna tener
conto che rimane, credo, un uso giovanile, e si sa quanto i gerghi giovanili siano
creativi ma brevi.
Ma in tutto questo, può
darsi che abbia avuto un certo peso la pressione
del parlato. Analogamente al “a me mi”, il mille si è in qualche modo indebolito, magari non evocando più una
quantità esagerata, nell’immaginario dei parlanti, ma semplicemente una buona quantità. Ecco che allora, per rafforzare
il suo senso originale ormai “consumato”, si ricorre a una ridondanza che, come
dicevo, mi sta simpatica. Perlomeno dimostra la creatività della nostra lingua di
contro alle millemila parole inglesi che invadono e sostituiscono le preesistenti
italiane.
Ant.Mar.
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