giovedì 26 gennaio 2012

FEMMINISTE E NEOCOLONIALISMO


En 1676, le père Bouhours, l'un des grammairiens qui a œuvré à ce que cette règle devienne exclusive de toute autre, la justifiait ainsi : «  lorsque les deux genres se rencontrent, il faut que le plus noble l'emporte. »
Trad.: Nel 1673, padre Bouhours, uno dei grammatici che ha operato affinchè questa regola diventi quella esclusiva, lo giustificava così: “quando i due generi si incontrano, bisogna che vinca il più nobile”. Cioè il maschile. 

Questo è quanto scrive Henriette Zoughebie sul suo blog, ed invita le donne (e gli uomini) francesi a firmare la petizione significativamente intitolata: "Que les hommes et les femmes soient belles” (che gli uomini e le donne siano belle) contro un presunto maschilismo della grammatica da mandare all' Accadémie Française, organo che in Francia controlla e garantisce la purezza ed “esattezza” della lingua, per cambiare l'uso.
La costruzione grammaticale incriminata è l'accordo al maschile dell'aggettivo riferito a più soggetti appartenenti a diversi generi. Insomma se dico “Marco e Lucia sono belli”, come si costruisce anche in italiano, sarei maschilista. O meglio, questo tipo di costruzione nasconderebbe un substrato culturale di stampo maschilista; come dimostrerebbe, in Francia, appunto lo scritto di padre Bouhours. Il buon padre, però, è famoso per i suoi giudizi balzani, anche se all'epoca fu ascoltato e preso molto sul serio. È sua l'idea per cui il francese sarebbe la lingua migliore d'europa, la più logica e civile, la più adatta al discorso e alla giurisprudenza, mentre l'italiano, per esempio, era buono solo per la poesia. Un discorso che oggi fa ridere; e contro cui nessuno oggi si sogna di rispondere, tanto è stupido. Eppure, se conoscete dei francesi, vedrete come quest'idea sia ancora ben radicata nell'idea che hanno della loro lingua.
Più di 300 anni dopo le femministe rispondono al prelato e propongono di accordare l'aggettivo con l'ultimo soggetto, quello a lui più vicino; cioè “Marco e Anna sono belle”.
Anche in latino e in greco si costruiva così questo tipo di frase. Eppoi è vero che basta un solo soggetto maschile per “dominare” la grammatica della frase: “Lucia, Anna e Giorgia sono belle”; ma “Lucia, Marco e Anna sono belli”. E in fondo, se di prim'acchitto suona male alle orecchie di un italiano, a pensarci bene mi sembra che ci si possa abituare presto, senza sforzo, a questa novità. Ma forse, per noi, la cosa è meno rigida di quanto non sia per il francese.
Si potrebbe d'altra parte obbiettare che, a guardare la frase un po', solo un po', più da lontano, in maniera più astratta, ci si può benissimo rendere conto che quell'aggettivo non ha, non può avere, genere. È solo un concetto. Il fatto che si possa accordare morfologicamente col soggetto cui si riferisce è solo un “inganno” della grammatica. È facile capire che la bellezza, l'avarizia, l'amore, non hanno sesso. Lo stesso soggetto non è sempre maschile o femminile. Un tavolo è più maschile di una lampadina? Si potrebbe arrivare fino a concepire nella grammatica un genere neutro, che si declini come il maschile o come il femminile a seconda dei casi, ma che resti neutro. Ma si potrebbe più semplicemente arrivare alla conclusione che quell'accordo è maschile per pura convenzione, ma non esprime per questo un genere particolare. Appunto come diceva, in modo decisamente brutale il buon padre. E allora, risponderebbero le femministe a ragione, nessun problema a cambiare la convenzione.
Qui sta il problema, invece. Il discorso del gruppo femminista è interessante dal punto di vista sociolinguistico - ritengo che abbia anche molti punti di verità - però la loro proposta nasce da una concezione che io ritengo sbagliata della società. È giusto mettere dei paletti all'evoluzione di una lingua, è giusto volerla controllare con decreti presi dall'alto? In italia viene subito in mente la politica linguistica del regime. La lingua francese ha invece una storia molto più lunga di imposizioni venute dall'alto: si racconta addirittura che la “erre moscia” dei francesi derivi dal fatto che il re Luigi -se non sbaglio- XVI, avesse questo difetto di pronuncia; essendo la lingua del re il modello di lingua ufficiale, i cortigiani modificarono il loro modo di parlare. A parte i palesi dubbi sulla veridicità dell'aneddoto, raccontatomi da un professore francese, è interessante l'idea che trasmette.
Recentemente il parlamento francese ha approvato una legge che punisce con un anno di carcere chi neghi ogni olocausto riconosciuto (ovvero ritenuto olocausto in base alle definizioni giuridiche internazionali) dallo stato francese. In particolare ci si riferisce all'olocausto degli armeni, cosa che ha portato a una tensione diplomatica con la Turchia. Se il punto di partenza, come nel caso delle femministe, è comprensibile, cosa dà però diritto alla Francia a ergersi a giudice delle idee e delle parole, giuste o sbagliate che siano, di chicchessia? Cosa darebbe il diritto all'accadémie française di decidere il cambiamento a tavolino di una costruzione che, anche se portatrice di sottosignificati ingiusti, è usato di fatto da tutti? Dovrebbero impegnarsi le donne francesi a diffondere l'idea, piuttoste che chiedere provvedimenti a quella stessa istituzione che protegge un arcaismo della lingua spesso esagerato. Difatti l'Académie, che ha meno del 10% di soci donne, e che ha ammesso la prima donna negli anni 70, ha esplicitamente rifiutato la proposta.
Insomma, nonostante la giustezza delle intenzioni, questo tipo di iniziative, che vogliono imporre dall'alto decisioni prese a tavolino, per quanto giuste, nascondono un pensiero colonialista che in occidente non se ne è mai andato. È un pensiero che crescendo può portare all'idea geniale di voler imporre con la violenza la democrazia in paesi lontani con la pretesa di una guerra “giusta”. 
Giuste o sbagliate che siano le abitudini di una società cambiano solo dal basso, in un arco di tempo lungo e casuale, anche violento, ma violenza del popolo, dal basso. E se non è spontaneo, il cambiamento non si imporrà mai in profondità: vedi il rapporto dei cittadini del sud Italia con lo stato, e l'idea che in molti hanno ancora oggi di Garibaldi.
Ant.Mar.