giovedì 23 maggio 2013

LINGUA ITALIANA NELL'ESERCITO LIBANESE

ITALIANO NELL’ESERCITO LIBANESE: Sul Giornale.it si trova uno strano articolo, dai toni entusiasti e vaghi allo stesso tempo, che parla del corso di lingua italiana per gli ufficiali dell’esercito libanese, iniziato a gennaio e terminato pochi giorni fa. È alla base di Shama - dove ha sede il contingente italiano impiegato in Unifil, la forza di interposizione Onu nel Paese - che il corso si è tenuto. I militari, suddivisi in due classi, hanno ottenuto la certificazione linguistica Plida (Progetto lingua italiana Dante Alighieri); utile per gli stranieri che vogliono ottenere un permesso di soggiorno di lunga permanenza in Italia, riconosciuta a livello europeo, e approvata dall'Università La Sapienza di Roma. Il progetto, nato dalla collaborazione fra il Sector West di Unifil a guida italiana, e il South Lithani Sector, comandato dal generale George Shreim che ha anche frequentato il corso, è stato realizzato dalla società Dante Alighieri.

Cosa ci interessa che i graduati libanesi – e solo loro – conoscano l’italiano? Ma è evidente! Il sottotitolo dell’articolo che prendiamo di mira recita:
“Un corso di italiano frequentato dagli ufficiali dell'esercito libanese per contribuire alla missione di pace(vai all'articolo intero)

È ovvio, no? Così come è ovvio cosa sia una ‘missione di pace’. Se una lingua può essere strumento di pace, perché non diffonderla tra i soldati in missione?” Già, ma in che modo una lingua può essere strumento di pace?

LINGUA STRUMENTO DI PACE: La lingua può essere tra i più efficaci strumenti di pace, come può essere una delle più letali armi di distruzione. Hitler stesso, era armato solo di linguaggio. Così come Gandhi. Per quel che riguarda i rapporti internazionali, da un lato, le difficoltà di traduzione possono creare – e creano ancora oggi a Bruxelles – dei pericolosi qui pro quo. Il Giuramento di Strasburgo, il primo documento scritto in lingua romanza, fu un trattato internazionale e fu pertanto redatto in due lingue, per farsi comprendere dagli eserciti.

'Missione di Pace'
Dall’altro lato, ed è più importante, si è spessissimo usata, come lingua dei rapporti tra popoli, la lingua del popolo più potente dal punto di vista economico e militare. Per questo motivo si impose il latino in Europa, poi il francese, poi l’inglese, domani chissà. Ma questo crea dei problemi di comunicazione non indifferenti – problemi che hanno spinto filosofi e linguisti a interrogarsi, e a creare lingue artificiali, cioè neutrali, prima fra tutte l’Esperanto. Vediamo quanto accade oggi in Europa: si usano, di fatto, l’inglese il francese e il tedesco. Questo significa che chiunque non sia madrelingua inglese, poniamo, sia svantaggiato in partenza nell’affrontare dialetticamente un madrelingua. E se la politica è dialettica, vedete che ruolo hanno l’Italia e la Spagna nelle decisioni comunitarie.

Quando i coloni francesi imponevano la scolarizzazione in lingua francese a tutti i popoli colonizzati, era per una questione di dominio culturale e linguistico, che si traduce in dominio e basta; ne è insieme causa e conseguenza. Si potrebbe anche dire che lo facevano per una questione di pace, è vero. Infatti, se tu annulli ogni traccia della cultura e lingua precedenti, e “armonizzi” tutti all’unico modello… insomma, se li fai diventare francesi, quelli mica si ribellano più. Smettono di percepirti come straniero invasore. Almeno in teoria, nel lunghissimo termine.

LINGUA DI POTERE: Metto subito in chiaro che non me la prendo con la Società Dante Alighieri, che ha come scopo quello di insegnare l’italiano nel mondo; tra gli italiani emigrati di seconda terza ecc generazione, e tra gli stranieri. Fanno il loro lavoro, e lo fanno anche bene, con le risorse che hanno a disposizione. Ma non ci si può raccontare che tutto l’interesse della cosa stia nel favorire la ‘missione di pace’… già solo il termine è sospetto. Se sostituiamo ‘missione di pace’ con ‘guerra’, o ‘missione di occidentalizzazione’, ‘importazione forzosa della democrazia’ … allora diventa più chiaro. Che i generali parlino la nostra lingua serve per favorire il nostro potere contrattuale e di influenza in Libano.

Sarò maligno, cospirazionista, quello che volete… ma pare evidente che le poste in gioco sono molto più ampie. Basta pensare un attimo a quanto è importante il mercato libanese per noi: secondo quanto si legge sul sito dell’Abasciata italiana a Beirut, l'interscambio commerciale fra l'Italia ed il Libano nel 2011 è ammontato a 1,9 miliardi di dollari. L’esportazione italiana è quindi aumentata del 34% raggiungendo la cifra di 1,87 miliardi di dollari, che consolida il +10,5% del 2009 e il +13,8% del 2010. Siamo così passati in poco tempo dalla terza posizione del 2010, ad essere il secondo Paese fornitore del Libano, secondi solo agli Stati Uniti. Ma soprattutto siamo il primo fornitore europeo del Paese. "A livello di considerazione generale possiamo affermare che l'Italia consolida ed incrementa il valore del proprio export in tutti i settori tradizionali di specializzazione produttiva del Paese." Non è dato sapere quanto di questo incremento, che coincide proprio con l'intervento 'di pace', sia dato dalla vendita di armi. L'unica notizia che si ha è di certi missili antiaerei Aster 15-30, che secondo DEBKA - agenzia vicina al Mossad - l'Italia e la Francia avrebbero venduto all'esercito libanese.

Ad ogni modo, gli interessi economici sono alti. A questo, aggiungete la delicata situazione politica che vive il paese; fare caso al fatto che solo ai generali dell’esercito si insegni la nostra lingua – rendendoli interlocutori privilegiati – e fare l’addizione. Non si tratta di colonialismo, è chiaro; magari di prepotenza, ma non c’è neanche niente di oscuro: normale amministrazione di 'diplomazia' internazionale. Purtroppo.

Però è importante segnalare come il paese ricco impone la sua cultura e lingua sul paese debole, su come gli interessi economici e il prestigio culturale siano tutt’uno, su come anche noi, che subiamo l’invasione del paese forte (l’America), trovandoci nella sua situazione, ci comportiamo un po’ alla stessa maniera, anche se forse non siamo altrettanto prepotenti… seguiamo la prassi. Così come la subiamo.

Ant.Mar.

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