Geneviève Fioraso |
Quello che, un po’ meno
apertamente e ufficialmente, è stato fatto da
noi, tramite l’Agenda Monti (cfr articolo); e che le nostre Università (cfr articolo) e Scuole (cfr articolo) stanno già facendo, di propria iniziativa È interessante
che Fioraso giustifichi la novità con due motivazioni: mettersi in linea con le
norme internazionali e attirare studenti stranieri. Cioè le stesse motivazioni che ci propinano qui. Altrimenti,
ha detto ancora la ministra, “ci
ritroveremo in cinque a discutere di Proust intorno a una tavola”. In cinque?
La francofonia ne mondo, celebrata recentemente, conta 220 milioni di persone, la
quinta al mondo e l’unica, insieme all’inglese, ad essere presente in tutti e cinque i continenti.
La lingua in Francia è
centralizzata fortemente difesa dallo Stato, in tutti i campi. Finora il Codice dell’Educazione era categorico:
salvo precise e rare eccezioni, negli atenei della République si insegna in
francese e solo in francese. Come è giusto, e come ci si poteva aspettare
in un paese come la Francia, si è accesa
la polemica, che sta squassando il mondo accademico e provocando la
ribellione degli intellettuali.
La legge e la battuta
della ministra hanno scatenato una protesta
violentissima e del tutto bipartisan, lanciata da «Libération», quotidiano
di sinistra, e proseguita dal «Figaro», quotidiano di destra.
LE REAZIONI: Comincia Antoine Compagnon, professore di
Lettere al Collège de France e anche
alla Columbia University, guarda
caso specialista di Proust, che ha accusato Fioraso di “spararci nella schiena”: “Gli
studenti stranieri che vengono in Francia devono imparare il francese.”
L’Académie française ha pubblicato una dichiarazione sui “pericoli di una misura che si presenta come un’applicazione tecnica quando in realtà favorisce una marginalizzazione della nostra lingua”.
Jean-Luc Marion |
L’Académie française ha pubblicato una dichiarazione sui “pericoli di una misura che si presenta come un’applicazione tecnica quando in realtà favorisce una marginalizzazione della nostra lingua”.
Pierre
Frath, docente a Reims, teme “che le giovani generazioni si troveranno rapidamente nell’incapacità di
parlare delle loro conoscenze nella lingua materna”. Akira Mizubayashi, professore (di francese) a Tokyo, lamenta che
con la legge Fioraso “la Francia fa un
passo in avanti nella rivoluzione neoliberale”. Lo scrittore Frédéric Werst accusa la legge di violare l’articolo 2
della Costituzione (“La lingua della
Repubblica è il francese”) e la deputata dei francesi all’estero Pouria Amirshahi, benché socialista,
annuncia che non la voterà.
Ma
la critica più esatta che tocca il punto centrale della
questione è arrivata, ovviamente, da un filosofo:
Jean-Luc Marion, accademico di Francia e professore, oltre che alla
Sorbona, a Chicago: “Invece di aprire il
nostro insegnamento al mondo internazionale, questa decisione favorisce la sparizione di una delle rare voci e
culture che resistono ancora al monolinguismo. Passare all’inglese significa, sia chiaro, rinunciare all’indipendenza
intellettuale”.
Ecco, italiani, come si
reagisce quando qualcuno vuole levare il diritto di studiare e di produrre cultura
nella propria lingua. All’idea di un’Università in inglese, in Francia si
sollevano da tutte le parti professoroni e filosofi; in Italia sono i professoroni, o presunti tali, a snobbare la lingua italiana e a volerla sostituire con l'inglese...
Ant.Mar.
(aggiunta: troverete in rete altri articoli che trattano lo stesso argomento; tutti ironizzano sullo strano nazionalismo dei francesi, solo in questo giornaletto gli si dà ragione. Come volevasi dimostrare...)
(aggiunta: troverete in rete altri articoli che trattano lo stesso argomento; tutti ironizzano sullo strano nazionalismo dei francesi, solo in questo giornaletto gli si dà ragione. Come volevasi dimostrare...)
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