giovedì 18 aprile 2013

PROTESTE IN FRANCIA CONTRO L'UNIVERSITÀ IN INGLESE



Geneviève Fioraso
PARIGI: La ministra socialista dell’Educazione superiore, Geneviève Fioraso è riuscita a far approvare dal Consiglio dei ministri il 20 marzo scorso il suo progetto di legge che prevede di autorizzare l’uso delle lingue straniere (leggi l’inglese) nelle università e nelle grandi scuole.

Quello che, un po’ meno apertamente e ufficialmente, è stato fatto da noi, tramite l’Agenda Monti (cfr articolo); e che le nostre Università (cfr articolo) e Scuole (cfr articolo) stanno già facendo, di propria iniziativa È interessante che Fioraso giustifichi la novità con due motivazioni: mettersi in linea con le norme internazionali e attirare studenti stranieri. Cioè le stesse motivazioni che ci propinano qui.  Altrimenti, ha detto ancora la ministra, “ci ritroveremo in cinque a discutere di Proust intorno a una tavola”. In cinque? La francofonia ne mondo, celebrata recentemente, conta 220 milioni di persone, la quinta al mondo e l’unica, insieme all’inglese, ad essere presente in tutti e cinque i continenti.

La lingua in Francia è centralizzata fortemente difesa dallo Stato, in tutti i campi. Finora il Codice dell’Educazione era categorico: salvo precise e rare eccezioni, negli atenei della République si insegna in francese e solo in francese. Come è giusto, e come ci si poteva aspettare in un paese come la Francia, si è accesa la polemica, che sta squassando il mondo accademico e provocando la ribellione degli intellettuali.

La legge e la battuta della ministra hanno scatenato una protesta violentissima e del tutto bipartisan, lanciata da «Libération», quotidiano di sinistra, e proseguita dal «Figaro», quotidiano di destra.

LE REAZIONI: Comincia Antoine Compagnon, professore di Lettere al Collège de France e anche
Jean-Luc Marion
alla Columbia University, guarda caso specialista di Proust, che ha accusato Fioraso di “spararci nella schiena”: “Gli studenti stranieri che vengono in Francia devono imparare il francese.”

L’Académie française ha pubblicato una dichiarazione sui “pericoli di una misura che si presenta come un’applicazione tecnica quando in realtà favorisce una marginalizzazione della nostra lingua”.

Pierre Frath, docente a Reims, teme “che le giovani generazioni si troveranno rapidamente nell’incapacità di parlare delle loro conoscenze nella lingua materna”. Akira Mizubayashi, professore (di francese) a Tokyo, lamenta che con la legge Fioraso “la Francia fa un passo in avanti nella rivoluzione neoliberale”. Lo scrittore Frédéric Werst accusa la legge di violare l’articolo 2 della Costituzione (“La lingua della Repubblica è il francese”) e la deputata dei francesi all’estero Pouria Amirshahi, benché socialista, annuncia che non la voterà.

Ma la critica più esatta che tocca il punto centrale della questione è arrivata, ovviamente, da un  filosofo: Jean-Luc Marion, accademico di Francia e professore, oltre che alla Sorbona, a Chicago: “Invece di aprire il nostro insegnamento al mondo internazionale, questa decisione favorisce la sparizione di una delle rare voci e culture che resistono ancora al monolinguismo. Passare all’inglese significa, sia chiaro, rinunciare all’indipendenza intellettuale”.

Ecco, italiani, come si reagisce quando qualcuno vuole levare il diritto di studiare e di produrre cultura nella propria lingua. All’idea di un’Università in inglese, in Francia si sollevano da tutte le parti professoroni e filosofi; in Italia sono i professoroni, o presunti tali, a snobbare la lingua italiana e a volerla sostituire con l'inglese...

Ant.Mar.

(aggiunta: troverete in rete altri articoli che trattano lo stesso argomento; tutti ironizzano sullo strano nazionalismo dei francesi, solo in questo giornaletto gli si dà ragione. Come volevasi dimostrare...)

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