sabato 20 aprile 2013

PARLARE CIVILE: LIBRO E CONFERENZA SULL'USO 'CORRETTO' DELLE PAROLE




19 Aprile 2013: Si è svolta a Roma la conferenza “Parlare civile”, in occasione dell'uscita dell’omonimo libro.

IL PARLARE CIVILE: Stefano Trasatti, direttore dell'agenzia Redattore Sociale, presentando il libro "Parlare civile", durante l'omonimo seminario che si è svolto ieri a Roma, lo ha definito "un libro di servizio per segnalare l'uso sbagliato di alcune parole e, quando possibile, suggerire delle possibili alternative, consapevoli che si tratta di un lavoro che sarà accolto con diffidenza, come intralcio al lavoro giornalistico". "Penso che non si debba aver paura delle parole, che vanno usate bene e trattate bene, perché sono convenzioni che danno una forma alla realtà - continua Trasatti -, ma allo stesso tempo non bisogna essere integralisti ma consci dei limiti del linguaggio".

Per il sociologo Enrico Pugliese – tra gli esperti del comitato scientifico che ha partecipato alla realizzazione del volume – si tratta di un "lavoro eccellente":personalmente ho paura dell'afasia e delle perifrasi ma credo sia necessario evitare l'uso delle parole che provocano dolore e sofferenza agli interessati". Come è successo ad esempio con l’uso di "negro" in America: "A un certo punto i neri hanno deciso che non volevano più essere chiamati né nigros né colored. E si è camabiato l'uso del termine". Analogo è il caso di "clandestino", di cui si fa un uso distorto perché troppo estensivo: "Si può usare se ci si riferisce ai clandestini, che sono una porzione ridotta degli immigrati irregolari, che sono una porzione ridotta degli immigrati. Altrimenti si mente sui termini per imbrogliare o per pura ignoranza".


Antonio D'alessandro, presidente di Parsec consortium, spiega che l’idea non è venuta all’improvviso: "il problema della poca attenzione alle tematiche sociali il nostro mondo se lo è posto più di 30 anni fa, e un'agenzia come Redattore Sociale nasce da queste esigenze e per rafforzare la possibilità di comunicare in maniera corretta le nostre problematiche".

Il direttore nazionale dell'Unar, Marco De Giorgi ha ricordato che le "parole sono muri o ponti:
Stefano Trasatti
l'uso linguaggio per questo è fondamentale, attraverso i media si consumano casi di discriminazione".
In questo contesto il quadro giuridico per De Giorgi è ancora carente e molto è affidato all'iniziativa volontaria: "Servono leggi e una ferrea volontà politica per combattere la discriminazione, ma noi siamo al lavoro perché le garanzie non restino solo sulla carta e perché la società sia sempre più preparata rispetto a questi temi, e questa è una grande responsabilità del giornalismo".

Durante l'incontro Perla Moringi ha letto il monologo scritto da don Vinicio Albanesi "Il mio nome sul campanello" su un ragazzo con Hiv conclamato morto per overdose nei bagni della stazione Termini. "Se i giornalisti frequentassero di più questi mondi non avremmo le categorie ma le persone - sottolinea Albanesi -. Il problema non sono tanto le parole ma i contesti: chi scrive di sociale non può essere razzista. Per creare la notizia spesso si è portati a un'accentuazione vigliacca e stupida, ma usare le parole corrette non significa essere buonisti".

Interessante l’affermazione del presidente dell'Odg Enzo Iacopino, che ha sottolineato che "stiamo accumulando carte deontologiche su carte deontologiche, ma le parole non sono suoni. Ho la forte paura che continuiamo a produrre parole nuove per poi sporcarle con i nostri comportamenti e sostituirle con un'affannosa ricerca di altre parole nuove che disorientano".

Enzo Iacopino
LA MIA: A ben guardare, tutti gli interessati siano prudenti sul “parlare civile”, il che dimostra quanto siano coscienti dei pericoli che porterebbe un’estremizzazione del 'politicamente corretto' (cfr articolo): Pugliese afferma di non amare “la perifrasi” – sono perifrasi “non vedente”, “diversamente abile” ecc. – d’altro lato, è cosciente anche di quanto le parole possano essere pesanti.  Tuttavia non si possono eludere certe considerazioni, e per questo Tosatti sa che questo lavoro verrà accolto con diffidenza. Ma chi tocca il punto dolente credo sia Enzo Iacopino: il problema non sono tanto le parole ma le persone. Il significato di una parola risiede unicamente nell’uso che se ne fa e dal contesto; se negro è offensivo, è perché noi lo intendiamo così, lo usiamo così.

Abbiamo un bel da fare, insomma, a “inventare parole nuove”; se poi le insozziamo coi “nostri comportamenti”… non si va da nessuna parte. È giusto riflettere sul peso che hanno le parole che usiamo, sul giusto modo di dire le cose, sempre che si rimanga liberi di dire le cose a modo proprio.

Ma viene prima l’uomo; è la persona che usa la lingua e le da senso, è la persona che bisogna “rinnovare”, prima del linguaggio. Ma, certo, l’impresa è di tutt’altra portata… proviamo con le parole.

Ant.Mar.

2 commenti:

  1. Sono pienamente d'accordo, lo stesso si verifca con il termine extracomunitari: viene sempre utilizzato per gli immigrati e con accezione negativa. Difficilmente si trovano troveremo un titolo su un giornale che parla di americani o svizzeri come extracomunitari, con loro (extracomunitari come i marocchini...) i media sono sempre molto riguardosi

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