mappa dei depositi di scorie nucleari in Italia |
Secondo
molti il mondo dovrebbe rinunciare all’energia nucleare,
ritenuta pericolosa sia per noi, oggi – in caso di incidente – sia, e soprattutto, per le generazioni future –
e non si tratta dei nostri figli, ma di coloro che popoleranno il pianeta tra
centinaia, migliaia di anni; se ci saranno.
Infatti, il problema
più grave, e che si è ben lontani dal
risolvere, è lo stoccaggio delle
scorie nucleari, che restano radioattive, e quindi dannose per uomini,
animali e piante per un tempo spaventosamente lungo. Basterebbe, per farci riflettere, che ognuno dei depositi di queste scorie è ufficialmente momentaneo; o che nessun assicuratore si sognerebbe di assicurare una centrale nucleare, visti i costi stratorferici in caso di incidente. Ma non è questo il luogo, né
sono io la persona adatta a spiegare i problemi tecnico-scientifici dell’energia
nucleare: non ne ho la preparazione.
C’è tuttavia un aspetto, che non viene mai trattato, che
si ricollega direttamente a problemi di filosofia del linguaggio e che ci
suggerisce chiaramente che il nucleare non è una buona strada. Prendo spunto da
una vecchia puntata di Report della Gabanelli, intitolata in modo “fazioso” l’inganno nucleare. In particolare vi
consiglio la visione di questo video, apartire dal minuto 6.45 in poi. Il nostro Michele Buono va a Parigi (la Francia è il paese più nuclearizzato
al mondo, e il più all’avanguardia: basti pensare che i giapponesi chiesero l’aiuto
di esperti francesi per il disastro di Fukushima.) a parlare con un rappresentante della società ANDRA: Agence Nationale pour la gestion des déchets
radioactives (agenzia nazionale per la gestione delle scorie radioattive).
“Qui
si sono posti una domanda imbarazzante:
che succede se una civiltà futura avrà
perso la memoria che un tempo si produceva energia con la reazione
nucleare, e accidentalmente va a liberare
quelle scorie?”
Bella domanda: come
fare per evitare il peggio? In caso di una guerra
mondiale, o di un nuovo medioevo
culturale, o di un cataclisma che ci
riporti all’età della pietra: come lasciare una memoria agli esseri umani del
futuro che in quel preciso posto è meglio non andare a scavare?
Le strade intraprese
dalla società francese sono principalmente
tre: una è la memoria storica; l’atra
è l’informazione “passiva”; l’ultima
è la creazione di un linguaggio che sia
comprensibile in ogni luogo, in ogni tempo, in ogni cultura.
logo della ANDRA |
1:
la memoria storica: l’ANDRA organizza conferenze, riunioni, volantini, libretti
informativi e quant’altro per trasmettere l’informazione alla gente che abita
nelle immediate vicinanze del posto di stoccaggio delle scorie; in modo che le trasmettano ai propri
discendenti e che rimanga, tra centinaia di anni, una sorta di memoria
inconscia che impedisca, in qualche maniera, alle generazioni future di
andare a “fare un buco” proprio lì. Ma, se questa civiltà futura avrà perso la
memoria dell’energia nucleare, che cosa può rimanere di questa consapevolezza
tra migliaia di anni? Forse una specie
di superstizione, per cui le nonne dicono ai nipotini di non andare a giocare
nel “bosco maledetto”; finché non
arriverà un “illuminista” a liberarci dalle nostre superstizioni. Senza contare
gli spostamenti delle persone: i
discendenti di chi abita in quel luogo adesso, staranno ancora lì? Non si
può dire, ma è improbabile.
Mettiamola così, quanto abbiamo ereditato noi della cultura,
del modo di fare, persino della cucina di coloro che popolavano l’Italia secoli
orsono? Molto, ma molto poco. Dante non conosceva il pomodoro: sui
ricettari dell’epoca si consigliava di cuocere la pasta in una grande teglia,
con un fondo di acqua salata, 20 minuti per lato, in modo da farle uscire tutto
l’amido. Una cosa che a noi, oggi, farebbe schifo. E questo solo per parlare
della tradizione culinaria, che nel nostro paese è molto forte. Persino la
concezione della religione cattolica è cambiata: e non solo nei credenti, nella
stessa Chiesa. Insomma: le possibilità che questa soluzione non funzioni, che
la trasmissione della memoria si interrompa a un certo punto, sono molto alte.
2:
l’informazione passiva: per ovviare al problema dell’eventualità di un’interruzione
del passaggio di informazioni da generazione a generazione, l’ANDRA ha prodotto
dei cartelli scritti in un gergo molto
semplice; “praticamente leggibile da tutti”. Da tutti coloro che parlano
francese: questa è probabilmente la soluzione migliore, considerato che è assai
probabile che fra 100 anni si parli ancora francese in Francia; un’evoluzione
di quello attuale, ma pur sempre figlio di quello. Un po’ come noi che
riusciamo, seppur con fatica, a leggere Dante. Ma fra 500 anni? La lingua sarà talmente cambiata da non essere più
comprensibile se non per esperti filologi. Noi italiani, infatti, riusciamo a
leggere Dante perché la nostra lingua non si è evoluta per secoli, non essendo
stata parlata veramente fino al ventesimo secolo. Ma quando una lingua subisce la cosiddetta “pressione del parlato”
evolve molto più velocemente: e infatti i francesi, o gli inglesi, che si
trovano a leggere scritti nella loro lingua risalenti al medioevo si trovano di fronte a una vera e propria
lingua straniera: con diversa pronunzia, diverso sistema grafico, persino
qualche diversità grammaticale. Lo vediamo anche noi, che parliamo italiano da
nemmeno un secolo, come la nostra lingua è diversa da quella dei nostri nonni;
figuriamoci da quella di Dante, il quale non parlava la lingua che ha usato per
la sua Commedia: insieme di dialetti del centro e del nord (e un pochino anche
del sud).
3:
un linguaggio che sia comprensibile sempre e da chiunque. Questo è un problema
su cui la filosofia del linguaggio si interroga sin dai tempi di Aristotele e Platone, e difficilmente l’ANDRA lo
risolverà. Certo, stanno lavorando e studiando, nella consapevolezza che questo
fantomatico linguaggio non deve essere
pronto domani; nella speranza che rimanga ancora parecchio tempo a nostra
disposizione. In realtà non si tratta di creare un “linguaggio” (termine che
implica caratteristiche molto particolari), ma piuttosto un sistema di comunicazione: si tenta di creare dei
segni. Alla domanda di Michele Buono giornalista di Report “ma siete sicuri che esistano dei segni capaci di attraversare il tempo
con lo stesso significato?”, il rappresentante dell’ANDRA risponde “a questo non è ancora stata trovata una
risposta”. Un modo carino per dire: “è assai improbabile che ci siano tali
segni”.
Tanto per fare un
esempio banale: la svastica. Ha cambiato
significato questo simbolo, nel corso dei secoli, oppure no? Tutto (proprio
come le parole) dipende dal contesto: vedere una svastica su un tempio buddista
indiano è una cosa; vedere quel simbolo su un bandierone nazista è altra cosa. Ma
oggi, se vediamo la svastica senza
contesto, a cosa pensiamo per prima cosa? A Buddha o a Hitler? Poco importa
che gli uncini della croce siano verso destra o verso sinistra. Persino il simbolo di Alba Dorata, movimento neonazista greco, richiama alla nostra mente ben altri significati che non doveva fare con gli antichi Greci.
simbolo di Alba Dorata |
Wittgenstein
disse: “se un leone potesse parlare, non
lo capiremmo”. Perché il leone è così diverso da noi, vede il reale in modo
tanto diverso dagli umani, che se anche parlasse ci sarebbe impossibile
capirlo. Restando nella stessa razza animale: se Giulio Cesare si presentasse domani a casa di un latinista in grado
di parlare correntemente latino, si capirebbero? Quasi sicuramente no. Come
reagirebbe un antico romano a chi tenti di stringergli la mano? Non è dato
saperlo. Per di più, del latino, non
sappiamo neanche la reale pronunzia. Pronunciare una parola male in inglese,
o in francese, o in tedesco (ad es. con forte accento italiano), la rende spesso
incomprensibile per un madrelingua. E in latino? Probabilmente.
Mi fermo qui: non
voglio fare una lezione di filosofia del linguaggio. Spero però di avervi
dimostrato come il problema più
grave prodotto dall’energia nucleare, cioè le scorie radioattive, è ben lontano dall’essere risolto: anzi
appare irrisolvibile. E per capirlo non c’è bisogno necessariamente di
conoscenze scientifiche sul funzionamento della scissione atomica. È sufficiente avere un po’
di conoscenza linguistica e filosofica.
Ant.Mar.
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