giovedì 25 febbraio 2016

Se il Presidente è bella, l'infermiera è scemo?

In un modo o nell’altro, prima o poi, volevo ricominciare i miei pensieri sulla Favella.

Ho perso un sacco di argomenti dall’ultima volta che ho buttato giù due righe.

Ultimamente ci sono stati due scoop linguistici: “configlio”, proposto da Marazzini (quello della Crusca) per sostituire lo “stepchild” della “stepchild adoption”. Marazzini, come me nel mio piccolo, è preoccupato dall'invasione di anglicismi dell'italiano contemporaneo, specie in politica.

Che uno si chiede, ma quando mai l’italiano medio potrà accettare di buon grado una legislatura che non parla la sua lingua? Molta gente crede che “stepchild adoption” invece che adozione del configlio voglia dire utero in affitto. Dirlo in italiano sarebbe già qualcosa.

Il secondo, molto meno interessante, è “petaloso”, caso dolce dolce, La Crusca risponde alla maestra che chiede una consulenza sulla parola inventata da un bambino della sua classe. E La Crusca risponde, il web si commuove (e la lira si impenna…).

Niente di interessante, neanche tanto originale come parola inventata. Sui Sentieri della Lingua è stato già detto che la parola è attestata già verso la metà del 1600.

E invece, parlo di un altro caso, che farà meno visite (notare comunque che le paroline che fanno visite le ho scritte), ma tant’è.

Qualcuno, sulla pagina Facebook dell’ottimo programma radiofonico La Lingua Batte (ascoltatelo!), chiede se il titolo di un articolo su cui è capitato sia esatto. “Guardia del museo accusato di…”.

Ovviamente è sbagliato. Eppure.

Qualcuno fra i commenti fa ironicamente il legame con il politicamente corretto. È sbagliato, dice, ma ormai, chi ci capisce più niente.

Andando avanti coi commenti, qualcuno dice, ah si, è sbagliato, mi era venuto un dubbio.

Allora mi dico, un titolo come “Il sindaco XXX accusata di…”, che non è improbabile pur esistendo, ormai, il femminile, non suonerebbe meno ‘sbagliato’ di “guardia accusato”?

Chiedo a chiunque mi legga di rispondere, indico ufficialmente un sondaggio. Perché, se così fosse...

mercoledì 15 gennaio 2014

SELFIE: PAROLA DELL'ANNO. MA IN CHE LINGUA?



PAROLA DELL’ANNO 2013: L' Oxford Online Dictionary (da non confondere con il prestigioso Oxford English Dictionary, cartaceo) ha eletto “selfie” – una fotografia a sé stessi scattata da sé stessi – parola dell’anno in lingua inglese. Voi direte:  e che ce ne importa? Che parliamo inglese noi?, a quanto pare si. Per due motivi. Innanzi tutto, il fatto che “selfie” sia entrata di peso, quasi in contemporanea in inglese e in italiano, il che “testimonia la grande permeabilità agli anglismi”, come sottolinea l’Accademia della Crusca. Insomma, anche noi la usiamo, e molto. Fa parte del linguaggio internauta italiano. 

Ma, a quanto pare, parliamo inglese anche per un altro motivo, ancora più grave. Il fatto appunto che, non appena l’Oxford English Dictionary l’ha eletta parola dell’anno, subito le maggiori istituzioni linguistiche italiane, Treccani e Crusca, si sono sentite in dovere di creare l’entrata “selfie” nei loro dizionari in rete. 

INTRADUCIBILE: l’dea condivisa pare essere sempre quella. È intraducibile, in inglese è meglio, la nostra povera lingua decrepita non ha le parole, non riesce a star dietro all’inglese per la creazione di neologismi. Ma, in inglese i neologismi sono tanti proprio perché è una lingua parlata! E soprattutto, perché gli anglofoni non hanno paura, come invece abbiamo noi, di creare nuove parole con la loro lingua, o di dare nuovi significati a parole già esistenti.

Selfie sarebbe intraducibile perché la costruzione delle parole in italiano non ha una possibilità identica. Non dovremmo tradurlo, cioè tentare di adattare la lingua italiana a quella inglese, ma pensare direttamente in italiano! e selfie in italiano è il caro vecchio e semplice “autoscatto”.

Ah! Non oserai mica proporre di rinnovare leggermente la sfumatura di una parola italiana? L’autoscatto tradizionale è quello che fa scattare la foto con qualche secondo di ritardo, per dare il tempo di piazzarsi davanti all’obiettivo. Si, e allora? Le nuove macchine fotografiche – o meglio i cellulari – non hanno più bisogno di questa trovata. È cambiata la tecnologia, ma non per questo dobbiamo cambiare nome alle fotografie, e tanto meno all’autoscatto.

Ogni volta che una nuova parola inglese entra nel lessico parlato di una parte degli italiani, da un lato le istituzioni linguistiche ne discutono immediatamente, giustificando e autorizzando implicitamente il loro uso (clicca qui per approfondire), e dall’atro lato ci convinciamo che quella parola sia necessaria perché ci sembra introdurre un nuovo concetto, il che è falso il 90% delle volte. Come Blog, o Happy Hour eccetera (clicca qui).

Selfie è l’autoscatto, non raccontiamoci balle. Ma siamo così poco legati alla nostra lingua, così poco coscienti della nostra cultura e così poco padroni di noi stessi da adattare più facilmente una parola straniera – che introduce novtà potenzialmente dannose al sistema linguistico italiano – piuttosto che rinnovare, e di pochissimo, una parola già esistente.

Ant.Mar.

martedì 14 gennaio 2014

IL JOBS ACT DI MATTEO RENZI, UN AMERIHANO A FIRENZE



RENZIE : Sin dalla dichiarata intenzione di “rottamare” la vecchia politica, Renzi si presenta come un “giovane”, il nuovo che avanza e tutto i resto; vuole farci credere di rappresentare la possibilità di un cambiamento nell’ottusa e arrugginita società italiana. E ovviamente, con un’associazione di idee che è tutt’altro che giovane, e molto provinciale o arciitaliana, giovane da noi vuol dire ‘mezzo americano’. Potrei introdurre l’argomento richiamando scherzosamente l’ormai noto miscuglio, provincialissimo e creato ad arte, tra la figura di Renzi e Fonzie, raggrumato in RENZIE. Un americano a Firenze. Alberto sordi era ‘mericano; Renzi è piuttosto “amerihano”, con la gorgia.
 
“Cos’è la destra, cos’è la sinistra”, si chiedeva Gaber; a seguire la logica di quella canzone, di sicuro l’America non era molto di sinistra una volta, ma soprattutto uno come Fonzie è… “sempre in fondo a destra”, in quello che lui chiamava il suo ‘ufficio’.

Ma andiamo al punto: Renzi è talmente amerihano da aver proposto, come sua prima azione significativa da novello segretario de PD, niente popò di meno che un “job (o jobs, o job’s) act”. In Italia, dove, sembra ci sia bisogno di ricordarlo, si parla italiano, un politico concittadino di Dante, e italofono, fa un job act.
 
Una sola parola, ben sillabata: Ri-di-co-lo. Come ridicola era (è) la Spending Review (cfr articolo). Ridicolo per almeno 3 motivi.

lunedì 13 gennaio 2014

CONTRO LA DITTATURA DELLA LINGUA INGLESE (Diego Fusaro)

Un breve video in cui Diego Fusaro ci spiega velocemente perché viviamo una dittatura della lingua inglese - autoimposta per molti versi - e perché non dovremmo accettarla passivamente. Buona visione.




sabato 11 gennaio 2014

“GLI” : UNA PROVA DELLA PARITÀ DEI SESSI NELLA SOCIETÀ CHE SI RIFLETTE NELLA LINGUA?



Spesso si sentono delicate orecchie puriste lamentarsi per l’ormai diffusissimo uso generalizzato del “gli” per indicare non solo il dativo di lui (a lui), ma anche per il femminile “a lei”, che la tradizione vorrebbe che sia “le”, e il plurale (femminile e maschile) che la norma vuole che sia “loro” messo dopo il verbo. 

Gli ho dato un bacio vs. le ho dato un bacio vs ho dato loro un bacio: oggi “gli ho dato un bacio” può essere usato per indicare tutti e tre i casi.

Per il plurale soprattutto, è ormai una rarità sentire “loro” posposto, se non in ambiti molto controllati e tra persone di una certa cultura e di molta attenzione. Personalmente non ci vedo niente di male, anzi, mi pare decisamente più semplice il “gli”, per cui, niente da dire.

Vorrei invece riflettere sull’uso ambivalente, per non dire neutro, del “gli” che si sostituisce al “le”.
Se colleghiamo questo uso che ormai sembra essersi imposto nella maggioranza dei casi (anche se meno, mi pare, del “gli” plurale) con la “battaglia” per femminilizzare i lavori tradizionalmente maschili – e viceversa – la cosa si fa molto interessante.

Le ipotesi possibili sono due.

giovedì 9 gennaio 2014

LA QUESTIONE DEL SEGNALARE ENTRAMBI I GENERI IN LINGUA, E 'PROSTITUTE/I'



Il merito fondamentale del movimento femminista è stato, ed è, quello di fare una impietosa critica ideologica e culturale alle nostre società, atta a denunciarne (o a decostruire) alcune costruzioni mentali ereditate da secoli (millenni) di sottomissione sociale della donna rispetto all’uomo. E nessuno oserebbe negarlo, se non in malafede. 

Ma non credo si possa negare d’altronde che talvolta, e specialmente negli ultimi decenni, questa critica ideologica ha preso delle pieghe estremiste, che, certo, partono da idee incontestabilmente giuste ed esatte, ma approdano a quelle che non esito chiamare esagerazioni. 

Quello che qui ci interessa è la lingua, campo in cui assistiamo a una di queste esagerazioni. Può una lingua essere maschilista? No. Una lingua può – e anche su questo ci sarebbe da discutere – rispecchiare una certa cultura, e quindi rispecchiare il maschilismo di questa. E, più in particolare, una lingua rispecchia il pensiero della persona particolare che la utilizza – persino i lapsus ci dicono qualcosa sull’inconscio degli individui. 

Per capirci: non sono le pistole a uccidere, ma le persone. Cristallino: una lingua non è né maschilista né femminista, le persone lo sono. Se dico “tutti” indicando un gruppo composto sia da uomini che da donne, non vuol dire che io sia maschilista; tutt’al più vuol dire che sto parlando italiano.

Questo significa, ovviamente, che se in italiano non esiste(va) il femminile di certi lavori (né il maschile di altri, fatto spesso dimenticato), questo è perché la società italiana è sessista, non la lingua italiana. E significa di conseguenza che se la società cambia, cambia anche la lingua, necessariamente. E sta cambiando, nonostante certe resistenze.  Infermiere/a, o ministro/a ormai possiamo cominciare a considerarle, con una certa prudenza, parole entrate nel lessico comune.

Tuttavia (cfr. articolo) l’importanza di tutto questo è innanzi tutto politica, il che sia chiaro, conta molto. All’università di Lipsia, in Germania, addirittura si è deciso di abbandonare il maschile “professore” e chiamare tutti, anche gli uomini “professoresse”, operazione che ha un suo perché, ma che suscita anche qualche “ma” (clicca qui per approfondire).

martedì 7 gennaio 2014

SUL FAMIGERATO "KE" AL POSTO DI "CHE"

Da qualche tempo gira sulla rete questa immagine, niente affatto nuova, ma recenteente tornata alla ribalta. La cosa mi stimola una piccola presa di posizione.

D'altronde, non è la prima volta che ne parlo, ma l'avevo fatto in relazione con gli anglicismi (cfr. articolo); e poi, si dice, repetitia juvant

Per quanto riguarda la sterile battuta sul "tempo che risparmiate", rimando a questo articolo, in cui ne parlo più specificatamente: (clicca qui).

So che provocherò una grossa polemica, ma io ho un'opinione controcorrente sul -k- al posto di -ch-. A parte il fatto che non vedo niente di male nell'uso di abbreviazioni e segni diacritici - usatissimi sin da quando esiste la scrittura - a patto che si sia coscienti che di abbreviazioni si tratta; io ritengo (ma non è un'opinione quanto un dato linguistico chiaro) che la -k- sia addirittura migliore del nesso ch. Per vari motivi.

1: Oggi usiamo due lettere per rappresentare un solo suono; altrimenti detto, quella -h- serve solo a indicare che la C ha un suono gutturale (k) e non fricativo (c), e questa è la sua unica giustificazione. è un segno diacritico, che potrebbe essere sostituito, per dire, da un puntino sopra la c, senza che nulla cambi. Idem per la -i- in parole come "CIAuscolo": serve solo a indicare il suono della -c-. (stesso discorso per la G: già vs. gatto; ghetto vs. getto ecc.)
2: Nell'altro senso: oggi usiamo un solo grafema (la -c-) per rappresentare due suoni ben distinti: la c e la k. E idem per la -G-
3: L'italiano è una lingua con un sistema grafico molto fedele all'orale, rispetto ad altre lingue (come l'inglese e il francese). Ma il fatto che lo scritto sia lo specchio dell'orale è un banale errore, un'illusione. Il -k- al posto del nesso -ch-, però, va proprio in questa direzione: rende lo scritto decisamente più vicino all'orale. A una lettera corrisponde un suono e uno solo. Non a caso "che", in alfabeto fonetico interazionale (IPA), si trascrive appunto /ke/.
Queste alcune, non tutte, delle giustificazioni in favore di "ke". 

Le motivazioni di condanna, invece, sono sul registro del: "è brutto", "è da ignoranti", "è sbagliato (!!)" ecc.
Insomma, se lo consideriamo in maniera più seria e profonda (non oso dire "scientifica"), senza farci prendere da narcisistiche condanne dei "Gggiovani" e dei "bimbominkia", mi pare che il -k- sia del tutto giustificabile, e anzi, persino più esatto dell'uso odierno. 

E ora, vai con la polemica!

Ant.Mar.

lunedì 16 dicembre 2013

Il provincialismo internazionale di chi vuole vietare l'italiano in Italia

Una petizione chiede al ministro dell'Istruzione di porre fine al progetto del Politecnico di Milano di usare soltanto l’inglese come lingua
Pubblichiamo il commento di Federico Guiglia uscito su l’Arena di Verona

La petizione dice così: “Ministro, ritira la firma che vieta d’insegnare in italiano all’Università!”.
Il ministro è Maria Chiara Carrozza, l’Università è il Politecnico di Milano e la petizione è promossa dall’Associazione radicale per l’esperanto, che si batte da tempo e con sensibilità per valorizzare la lingua nazionale, sottoposta a ogni genere di mortificazione. La più grave delle quali è la pretesa, purtroppo in corso, di cancellare l’insegnamento in italiano nei corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca presso il già citato Ateneo.
IL CASO DEL POLITECNICO
Dall’anno prossimo tutto e solamente in inglese, ha stabilito il Politecnico milanese. Come se la lingua millenaria di Dante fosse uno svantaggio per il futuro lavoro di architetti e ingegneri in Italia e nel mondo. Come se l’italiano non fosse “la lingua ufficiale dello Stato”, secondo quanto stabilisce una norma costituzionale. Come se l’Università pubblica non fosse pagata dagli italiani, che avranno pure il diritto inalienabile di trasmettere ai loro figli la lingua appresa dai loro padri anche al massimo livello di studi.
LA RABBIA DEI DOCENTI
Contro questo tentativo del Politecnico in nome di una malintesa “internazionalizzazione” che in nessun Paese d’Europa s’esprime con la rinuncia alla madrelingua nazionale a beneficio dell’inglese, un centinaio di docenti universitari ha promosso e vinto un ricorso al Tar della Lombardia, sette mesi fa.
INACCETTABILE IMPOVERIMENTO
Ma il Politecnico ha impugnato al Consiglio di Stato tale sentenza. Una sentenza, quella del Tar, che aveva bocciato con motivazioni durissime la decisione accademica non già – attenzione! – di aggiungere corsi e insegnamenti “anche” in inglese, ma di prevederli “al posto” di quelli in italiano. Non un arricchimento, ma un impoverimento. Non universalità, ma provincialismo. Così la lingua nazionale verrebbe cancellata in un alto ambito pubblico che, al contrario, dovrebbe ben conoscerne e riconoscerne il valore agli occhi del mondo.
RADICI DA PRESERVARE
L’argentino Papa Francesco s’è rivolto in italiano, lingua ufficiale della Chiesa, al miliardo e passa di credenti durante il tradizionale saluto “urbi et orbi” in mondovisione. La musica lirica “parla” italiano in ogni continente dov’è rappresentata e ascoltata. Nello sport più popolare del pianeta, il calcio, l’italiano è una delle lingue più diffuse grazie ai tanti stranieri che da anni frequentano la serie A, e ai tifosi d’ogni nazione che guardano le nostre partite in tv: chiedere conferma al nuovo presidente dell’Inter, l’indonesiano Erick Thohir. Proprio il Politecnico di Milano non può ignorare che, da Michelangelo in poi, l’architettura, l’arte e la scienza delle costruzioni siano intrise di storia e di lingua italiane al di là di ogni confine. Gli stranieri vengono qui a studiare il Rinascimento, e in italiano, of course.
LA PETIZIONE AL MINISTRO
Sorprende, allora, che a firmare il ricorso al Consiglio di Stato contro l’importante sentenza salva-italiano del Tar, sia il ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca in persona e pro tempore. Da qui la petizione dei radicali a Maria Chiara Carrozza di “ritirare la firma”. La questione è semplice: può un ministro che ha giurato fedeltà alla Costituzione della Repubblica italiana, e che rappresenta la cultura del nostro Paese e della sua insostituibile lingua italiana, non immaginare l’”effetto che fa” il suo gesto?
Intanto, il Consiglio di Stato ha negato la sospensiva che il Politecnico di Milano reclamava. Dover difendere l’uso dell’italiano in un’Università pubblica d’Italia: che insopportabile tristezza.

Fonte: formiche.net

domenica 15 dicembre 2013

LETTA AL TEMPO DEGLI OUT OUT.

Su Rai.tv troviamo un servizio intitolato "Letta: è finito il tempo degli OUT OUT". Si, scritto così, all'inglese. Un errore che non stupisce più di tanto, purtroppo, dato che il livello culturale bassino dei giornalisti italiani è ormai diventato un luogo comune. 

D'altronde, i giornalisti fanno parte, teoricamente, della classe colta di un paese: possiamo quindi solo immaginare il livello della classe non colta... e il discorso diventa più allarmante, ma non meno noto. Che gli italiani siano ignnoranti, lo si sa, e Tullio de Mauro è il primo a denunciarlo quasi quotidianamente. 

Però, voglio affrontare il discorso da un altro punto di vista. Non è tanto sull'ignoranza di quelli che non ci si aspetta che siano ignoranti, che voglio porre una domanda: vorrei tentare di andare più a monte. 

La domanda quindi è: perché al latino AUT AUT, si è sostituito l'inglese OUT OUT? ovvero: perché proprio questo tipo di errore? Come interpretarlo? io ho una mia teoria...

domenica 3 novembre 2013

Venezia si ribella alle calli in italiano




Modificati, tradotti, “italianizzati”: Venezia cambia i nomi di calli, campi, campielli che diventano a prova di dizionario della lingua italiana. E così i tradizionali “nizioleti” (”lenzuoletti”, a proposito di traduzioni), ossia i quadrati dipinti di bianco sui muri delle case veneziane su cui sono incisi i nomi che identificano calli e campi, sono stati tradotti dal veneziano all’italiano: ecco allora che “sotopòrtego” diventa “sottoportico”, “terà” diventa “terrà”, “parochia”, “parrocchia”. I nuovi nomi, in occasione del restauro dei nizioleti, sono stati voluti dall’assessore alla toponomastica, la filologa Tiziana Agostini. Non l’avesse mai fatto: c’è chi lo ha definito uno “scempio”, chi un “orrore”, ma soprattutto, c’è chi pensa sia uno schiaffo alla storia e alla tradizione toponomastica (oltre che linguistica) di Venezia, apprezzata in tutto il mondo oltre che per le sue bellezze e particolarità artistiche e naturali, anche per la sua storia, di cui il dialetto fino a prova contraria fa parte.  

Ed è bufera: il web si scatena, armato fino ai denti di indignazione per il dialetto calpestato. Gruppi su Facebook, come “il passato e il presente dei nizioleti” (quasi 800 membri) hanno acceso i riflettori sul cambiamento che ha interessato la toponomastica di Venezia. Non solo italianizzazione, ma anche perdita del significato: su tutti, basti l’esempio di “Rio terà degli Assassini”. La traduzione “Rio terrà degli Assassini” perde il suo significato originale, dove “terà” stava per “interrato” e non per la declinazione del verbo tenere, alla terza persona del futuro semplice, “terrà”.  

La polemica infuria tra le placide calli veneziane, ma l’assessore spiega la scelta, cercando di contenere la furia dei veneziani insorti: “Qui si confonde il folclore con il rigore scientifico. L’uso della doppia non è una ’italianizzazione’ - ha replicato -, ma un ritorno alle origini storiche dei nomi e frutto di un lungo lavoro di un’equipe specializzata del Comune, che ha avuto la consulenza scientifica dell’Universita’ di Ca’ Foscari, e che ha confrontato varie fonti storiche, anche precedenti a quelle da cui derivano i nomi sui ’nizioleti’’”.  

Per il restauro (anche dei nomi), l’assessore si sarebbe avvalsa dell’ultimo Catasto della Serenissima datato 1786, ma i veneziani doc non ne vogliono sapere: tale stradario, puntualizzano loro “sarebbe stato scritto in “lingua” (come si indicava allora, il toscano letterario); logico che chi lo redasse, cercò di “ingentilire” i nomi veneziani poiché gli pareva rendere più elegante lo scritto”, si legge in un post nell’agguerrito gruppo sul social network. L’assessore ha anche provato a intervenire personalmente nel gruppo Facebook, con un post in cui spiegava e giustificava la sua scelta. Ma niente da fare. È la battaglia è ancora aperta. Lo diceva, in fondo, il proverbio: tradurre, è tradire... 

Fonte LaStampa.it

mercoledì 16 ottobre 2013

BIOCIDIO: UN NUOVO SIGNIFICATO?



Chiaiano, Pianura, Terzigno, Giugliano, Terra dei fuochi. E ancora Bagnoli, Napoli est, Acerra, basso casertano e Terra di lavoro. In Campania la lista delle terre devastate dal disastro ambientale è lunga, ormai definita in una sola parola: Biocidio. Questo termine fu utilizzato, pare, per la prima volta in questo ambito preciso, da un attivista dei comitati anti-discarica ad Afragola, uno dei comuni dell’area nord di Napoli e cuore della Terra dei fuochi.

Questo articolo non tratta dei motivi della protesta, di quante e quali persone siano da considerarsi responsabili del martirio del suolo più fecondo e più bello d’Italia, a quanto ammonti, ad oggi, il numero delle vittime. Non ne ho la competenza, e, francamente, neanche la forza. La colpa è di tutti, le vittime siamo tutti. 

Questo giornaletto tratta della lingua italiana, e quindi, qui, parliamo della parola stessa: “biocidio”. 

Le proteste (sacrosante) che si stanno svolgendo in queste ore – in verità da anni e con sempre maggior forza – in Campania, avanzano al grido, persino col cancelletto di Twitter per dare maggior risonanza, "#stopbiocidio". Non essendo propriamente un tecnico, sulle prime ho pensato che biocidio fosse una parola nuova, mediatica, e anche piuttosto ben trovata. Cosa significhi etimologicamente credo sia chiaro per chiunque: uccisione della vita.

Una breve ricerca mi rivela invece che "biocidio" è una parola tecnica e significa "strage di animali" (cfr. dizionario Hoepli). Mi sorge allora un dubbio: si protesta per i tumori agli umani, per quelli delle pecore e altri animali d'allevamento che stanno morendo come mosche, o per entrambi? 

Direi per entrambi, soprattutto per la popolazione umana, ma sostanzialmente in nome di tutta la vita, flora e fauna: si potrebbe allora considerare questo uso di “biocidio” come un nuovo significato della parola tecnica, che si è "allargata" nel momento stesso in cui è divenuta, molto recentemente, parola comune?

purtroppo divenuta comune.  

Ant.Mar.

martedì 15 ottobre 2013

XIII SETTIMANA DELLA LINGUA ITALIANA NEL MONDO: UN SUCCESSO.



LA SETTIMANA DELLA LINGUA ITALIANA NEL MONDO: Nata nel 2001 da una felice intesa tra il Ministero degli Affari Esteri e l’Accademia della Crusca, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il contributo delle Ambasciate della Confederazione svizzera, la Settimana della Lingua Italiana nel mondo si è sviluppata nel corso degli anni orientando su un tema specifico, definito di anno in anno, le forze di Ambasciate, Consolati e Istituti Italiani di Cultura. Un evento che ogni anno coinvolge oltre 700mila studenti stranieri in diversi Paesi.

Quest’anno, dal 14 al 24 ottobre - con relativa libertà da paese a paese - si svolge la tredicesima edizione, dal tema “Ricerca, scoperta, innovazione: l’Italia dei saperi”. Novantaquattro i Paesi che aderiscono al progetto, per un totale di 1.200 eventi in tutto il mondo, e in ognuna delle sedi estere si sviluppa la tematica dell’anno in modo diverso e originale, dimostrando così le grandi potenzialità della nostra rete che può produrre risultati di grande impatto e di elevato livello qualitativo.

PERCHÉ: Sembra inutile specificare quale sia l’utilità di una tale manifestazione, ma forse non è evidente per tutti, specie in un paese dove sempre di più si tende a considerare il proprio patrimonio linguistico come un peso che ci impedisce di parlare lingue percepite come più utili e importanti come l’inglese, al punto che in inglese si comincia ad insegnare nelle università italiane. 

Ma, oltre ai motivi economici politici e militari per cui l’inglese è oggi la lingua più studiata al mondo, c’è anche, appunto, l’importanza che gli anglosassoni danno alla promozione e produzione culturale della loro lingua nel mondo. Insomma: l’importanza prima della Settimana della lingua italiana nel mondo è proprio la diffusione della nostra cultura, che attraverso la lingua veicola un’immagine positiva dell’Italia, con possibili e probabili ricadute economiche e politiche positive. Perché un paese percepito come culturalmente fecondo e prestigioso, e l’Italia lo è, è anche un paese politicamente forte. Certo non basta: per la forza politica serve innanzitutto la forza economica, che la nostra classe dirigente sembra voler distruggere volontariamente, spesso con l’aiuto dell’U.E. 

Proprio per questo la diffusione e la promozione della nostra cultura all’estero attira potenzialmente turisti, ma anche, e questo conta di più, lavoratori stranieri, magari attirati dallo stile di vita, dal clima, dal cibo, dalla bellezza insuperabile delle nostre città. Lavoratori che, ingenui, pensano di dover imparare l’italiano, mentre noi, in Italia, pensiamo di doverlo dimenticare, mentre aumentano sempre di più le iniziative in patria che guardano all’inglese a scapito della lingua italiana. Ma questo è un altro discorso: cerchiamo di guardare agli aspetti positivi: la lingua italiana nel mondo piace, e la domanda di insegnanti è in continua crescita. Grazie all’attività dell’Accademia della Crusca e soprattutto della società Dante Alighieri. 

ALCUNI EVENTI: Di seguito, alcuni eventi, con relativi collegamenti ai siti ufficiali, organizzati in paesi europei e non, dalla vicina Slovacchia alla lontana Cina. Questo elenco, tutt’altro che esaustivo (anche perché gli eventi sono talmente tanti che sarebbe impossibile elencari tutti), ha il solo scopo di dimostrare quanto la lingua e la cultura italiana abbiano ancora qualcosa da dire al mondo.
 
In Slovacchia, tra Bratislava, Banska Bystrica, Ruzomberok e Nitra, tanto per cominciare, due giornate “a porte aperte” presso l’Istituto di Cultura, lunedì 14 e giovedì 17 ottobre, incorniciano tutta una serie di eventi tra cui lezioni di lingua italiana a più livelli. Per il programma, clicca qui

Sofia il 14 ottobre alle ore 18:00, nella Sala 4 del Palazzo Nazionale della Cultura (NDK), nella cornice della mostra 'Omaggio a Verdi', si terrà la conferenza del giornalista e musicologo Bruno Bertucci sul tema 'Verdi: scoperta e innovazione nel melodramma italiano nell'ottocento', preparata in occasione del 200° anniversario dalla nascita del compositore, e inserita tra i numerosi eventi programmati per la XIII settimana della lingua italiana nel mondo, che si possono vedere qui 
 
Dal 14 al 21 ottobre si svolgeranno a Barcellona numerosi eventi organizzati dall’Istituto Italiano di Cultura nell’ambito della tredicesima edizione della Settimana della Lingua italiana nel mondo. Clicca qui. Mentre per il programma di Madrid, che non vuole certo essere da meno di Barcellona, clicca qui.

In Francia, pur col loro supposto nazionalismo linguistico, non sono mica scemi: a Nizza il consolato organizza spettacoli teatrali e alltri eventi, come potete vedere qui, per quanto riguarda Marsiglia lo vedete qui, e Parigi, ovviamente, organizza le cose in grande, anzi grandeur, come potete vedere qui

In Russia, dove - come raccontano le due insegnati ideatrici del progetto, Krassova e Dorofeeva, in un’intervista rilasciata a La Voce della Russia - “la richiesta di studiare la lingua italiana da parte degli studenti cresce di anno in anno. È per questo che in alcune università è stata introdotta come terza lingua tra le materie di studio”, si registrano eventi a San Pietroburgo (cliccare qui.) e a Mosca (cliccare qui.).

Negli Stati Uniti l'iscrizione ai corsi d'italiano – che Thomas Mann definì “la lingua degli angeli” – aumenta del 15-20% all'anno, e a Houston, di certo “non abbiamo un problema” (qui il programma). A Boston è invece l’ambasciata svizzera a promuovere la proiezione di film in lingua italiana (clicca qui). E poi a Washington, New York, Los Angeles ecc ecc. Vi lascio ricercare tra i tanti stati del Nordamerica.

L’Istituto italiano di cultura di Pechino, infine, aderisce alla giornata nazionale delle biblioteche “BiblioPride” 2013. Le iniziative, in programma mercoledì 16 ottobre alle 18 presso il teatro dell’Istituto, sono state inserite nell'ambito della Giornata della Lingua con l’obiettivo di collegare la valorizzazione della lingua italiana alla lettura e di stimolare, anche nei giovanissimi, la consapevolezza della traduzione come strumento necessario ad ampliare l'orizzonte della conoscenza. (ce lo dice il sito di informazione, a pagamento, 9colonne.it)

Eccetera Eccetera Eccetera…

Ant.Mar.