Modificati, tradotti, “italianizzati”: Venezia cambia
i nomi di calli, campi, campielli che diventano a prova di dizionario della
lingua italiana. E così i tradizionali “nizioleti” (”lenzuoletti”, a proposito
di traduzioni), ossia i quadrati dipinti di bianco sui muri delle case
veneziane su cui sono incisi i nomi che identificano calli e campi, sono stati
tradotti dal veneziano all’italiano: ecco allora che “sotopòrtego” diventa
“sottoportico”, “terà” diventa “terrà”, “parochia”, “parrocchia”. I nuovi nomi,
in occasione del restauro dei nizioleti, sono stati voluti dall’assessore alla
toponomastica, la filologa Tiziana Agostini. Non l’avesse mai fatto: c’è chi lo
ha definito uno “scempio”, chi un “orrore”, ma soprattutto, c’è chi pensa sia
uno schiaffo alla storia e alla tradizione toponomastica (oltre che
linguistica) di Venezia, apprezzata in tutto il mondo oltre che per le sue
bellezze e particolarità artistiche e naturali, anche per la sua storia, di cui
il dialetto fino a prova contraria fa parte.
Ed è bufera: il web si scatena, armato fino ai denti
di indignazione per il dialetto calpestato. Gruppi su Facebook, come “il
passato e il presente dei nizioleti” (quasi 800 membri) hanno acceso i
riflettori sul cambiamento che ha interessato la toponomastica di Venezia. Non
solo italianizzazione, ma anche perdita del significato: su tutti, basti
l’esempio di “Rio terà degli Assassini”. La traduzione “Rio terrà degli
Assassini” perde il suo significato originale, dove “terà” stava per
“interrato” e non per la declinazione del verbo tenere, alla terza persona del
futuro semplice, “terrà”.
La polemica infuria tra le placide calli veneziane, ma
l’assessore spiega la scelta, cercando di contenere la furia dei veneziani
insorti: “Qui si confonde il folclore con il rigore scientifico. L’uso della
doppia non è una ’italianizzazione’ - ha replicato -, ma un ritorno alle origini
storiche dei nomi e frutto di un lungo lavoro di un’equipe specializzata del
Comune, che ha avuto la consulenza scientifica dell’Universita’ di Ca’ Foscari,
e che ha confrontato varie fonti storiche, anche precedenti a quelle da cui
derivano i nomi sui ’nizioleti’’”.
Per il restauro (anche dei nomi), l’assessore si
sarebbe avvalsa dell’ultimo Catasto della Serenissima datato 1786, ma i
veneziani doc non ne vogliono sapere: tale stradario, puntualizzano loro
“sarebbe stato scritto in “lingua” (come si indicava allora, il toscano
letterario); logico che chi lo redasse, cercò di “ingentilire” i nomi veneziani
poiché gli pareva rendere più elegante lo scritto”, si legge in un post
nell’agguerrito gruppo sul social network. L’assessore ha anche provato a intervenire
personalmente nel gruppo Facebook, con un post in cui spiegava e giustificava
la sua scelta. Ma niente da fare. È la battaglia è ancora aperta. Lo diceva, in
fondo, il proverbio: tradurre, è tradire...
Fonte LaStampa.it
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