Uno dei primi temi trattati da
questo giornaletto è il legame tra il
prestigio di una lingua nel mondo e il potere del paese “padre” di questa
lingua. È piuttosto semplice da dimostrare in realtà; eppure è difficile
far capire alla maggior parte delle persone che non è per la sua semplicità grammaticale che l’inglese ha saputo imporsi
come lingua internazionale, bensì perché lingua veicolata dall’impero
dominante in questo periodo storico: gli Stati Uniti d’America. (per
approfondire clicca qui)
Ma una notizia di questa mattina
ci viene in soccorso e ci dà occasione
per mostrare inequivocabilmente quanto questo legame tra economia (cioè
potere) e prestigio culturale sia
stretto. E ci dà occasione quindi di ribadire che, non solo la scarsa considerazione della lingua
italiana all’estero è indice dello scarso ruolo dell’Italia di fronte agli
altri paesi; ma soprattutto che il continuo
bistrattare la lingua italiana da parte degli italiani è lo stesso
atteggiamento che ci lascia abbandonare senza troppi rimorsi il più bel sito
archeologico del mondo. Come ho detto più volte: dire “news” invece di notizie;
lasciar crollare i muri di Pompei; persino evadere le tasse, sono tutti
fenomeni di uno stesso andazzo comune a tutti noi italiani. E prendersela coi
politici è troppo facile e riduttivo: le
responsabilità sono enormi e ricadono su ognuno di noi.
Ma torniamo alla notizia del
giorno: si tratta della lingua tedesca,
che certo non è facile e comprensibile come lo è l’inglese; eppure ha avuto una crescita esponenziale di
persone che la studiano. Perché?
Il tedesco è al nono posto delle lingue più utilizzate al mondo,
superato dal francese che è parlato da 300 milioni di persone. Ma molti cittadini del Sud Europa si
stanno trasferendo verso la Germania per cercare lavoro (+15% nel primo
semestre del 2012), e ormai imparare il tedesco è diventato una priorità per
molti europei che non possono più ignorare il successo economico e politico
della Repubblica Federale. Tuttavia le
pagine in linea in lingua tedesca sono al secondo posto della classifica
mondiale, dietro a quelle in inglese. Secondo gli ultimi dati,
rappresentano il 6,5% del totale, rispetto al 3,9% delle pagine in francese e
al 2,1% delle pagine in italiano.
C’è da dire che fino a qualche anno fa sulla stampa tedesca si
trovavano articoli scandalizzati che denunciavano l’invasione di termini
inglesi nella bella lingua di Goethe. La divisione di telefonia mobile di
Siemens aveva scelto lo slogan "Be Inspired", mentre Smart, la
filiale di DaimlerChrysler, esortava i suoi potenziali clienti a "Open
your Mind". Le parole tough, easy
o city sono ormai di uso comune nella Repubblica
Federale. Il cellulare in tedesco si chiama Handy, che in inglese
significa maneggevole, anche se non è così che l'apparecchio viene comunemente
chiamato in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. All'aeroporto, i viaggiatori checken
i bagagli. Non vi ricorda qualcosa?
Oggi, a distanza di pochissimi
anni, l’andazzo è opposto: tra il 2009 e il 2011 il numero di studenti di
tedesco nei centri Berlitz in giro per il mondo è salito del 15%, raccontava di recente il giornale economico Handelsblatt.
Ogni mese, sei milioni di persone utilizzano il corso di tedesco messo a
disposizione in 29 lingue dalla Deutsche Welle sul suo sito Internet. La rete
radiofonica pubblica propone per podcast un notiziario in tedesco letto a velocità ridotta: è scaricato ogni
mese oltre 200mila volte. Il Goethe Institut ha 137 centri all'estero e 13
istituti in patria. Nel 2011 erano 234.587 gli studenti che seguivano i corsi
di tedesco dell'ente federale per la lingua e la cultura tedesca, con un incremento di 16.410 persone rispetto al
2010.
Il caso della scuola tedesca di
Atene è interessante: negli ultimi due anni, il numero di iscritti è aumentato
del 5% all'anno, e due terzi degli studenti hanno la nazionalità greca.
Ecco, questo dato dovrebbe far riflettere gli italiani su quanto sia
importante – e non solo un problema per eruditi accademici – tutelare e promuovere la propria lingua
nazionale, sul territorio come fuori. Proprio per questioni economiche. Se dietro
un’efficiente lavoro di promozione culturale ci fosse anche una politica
(economica e sociale) decente, sarebbe un
primo passo, fondamentale, per imporsi nel dibattito internazionale.
Ma sappiamo come va la politica
italiana; e sappiamo quindi come va la cultura italiana: male. Pure troppo, purtroppo.
Ant.Mar.
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