L'ospedale della lingua italiana, Roberto Nobile |
“Dove
le parole usurpate dalle omologhe americane trovano cura e conforto”:
questo il sottotitolo
che definisce il libro di Roberto Nobile
presentato alla libreria Saltatempo di Ragusa lo scorso 30 novembre intitolato:
L’ospedale
della lingua italiana. Una
raccolta delle più usate ed abusate parole americane (l’attore ragusano, in
questo caso nella veste di scrittore, è bene attento a utilizzare “americano” e
non “inglese”) introdotte nel linguaggio degli italiani dagli italiani. Il più delle volte inutilmente (perché
scrivere curiosity quando si potrebbe
tranquillamente usare curiosità?), altre
per il solo gusto di essere moderni (risultando invece goffamente
provinciali), oppure di risultare
artatamente incomprensibili (e questo accade soprattutto nel linguaggio
economico/finanziario tra i vari spread e default).
Secondo Carmelo Arezzo, incaricato di presentare libro e autore quella
di Roberto Nobile (e quindi quella mia, attraverso questo giornaletto), “è una battaglia già perduta, ma che merita
di essere combattuta”. Ammetto tristemente che è probabilmente la verità. Ma
non tutto è perduto. E se anche fosse davvero troppo tardi, mi consolo con questi versi di Leopardi,dedicati all’Italia:
Come cadesti o quando
Da tanta altezza in così basso loco?
Nessun pugna per te? non ti difende
Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo
Combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
Agl'italici petti il sangue mio.
L’idea
di scrivere questo libro in difesa dell’italico idioma, di cominciare questa
lotta già perduta, viene all’autore da un particolare episodio accadutogli
veramente: si è presentato all’ultimo
Gay Pride a Roma, ma invece di esibire un cartello che rivendichi il
diritto alla libertà sessuale, ne ha esibito uno con su scritto: “amici omosessuali, perché non scrivere
“orgoglio omosessuale” invece di “gay pride”.
Roberto Nobile (a sinistra) alla presentazione del suo libro |
Trovo l’idea divertente, una provocazione che era necessaria da tempo e che, ammetto, più
volte ho pensato di fare io stesso, ma mi è mancato poi il coraggio. Roberto Nobile non ci riferisce però quali
e quante le sono state le reazioni degli amici omosessuali. Certo, se dopo
quest’esperienza ha sentito il bisogno di scrivere L’ospedale della lingua italiana, non devono essere state positive.
Infatti, anche se non ci è dato sapere cosa gli
omosessuali abbiano risposto all’attore/scrittore, io sono convinto di poterlo immaginare con una certa esattezza, dato
che io stesso non sono affatto alieno a questo tipo di provocazioni, e quindi
nemmeno alle risposte della gente a queste proposte.
La reazione dev’essere stata analoga a quella che
ebbe, qualche settimana fa, Flavio Briatore a Servizio Pubbico (puntata del15/11/2012). Parlando dei problemi dell’imprenditoria italiana, e in particolare
della vergognosissima vicenda dell’ILVA di Taranto e dei profitti non
reinvestiti dalla famiglia Riva, l’imprenditore
afferma: “essendo io un boss…”. A questo punto viene interrotto da qualche
altro ospite: “boss?”. In effetti,
una frase come questa pronunciata da Briatore può prestarsi a interpretazioni
assai preoccupanti.
Stizzito, Briatore,
replica che intendeva dire “capo di una azienda” e che comunque trova queste
polemiche stupide e infruttuose.
Ecco come avranno reagito gli omosessuali a Roma
di fronte al cartellone di Roberto Nobile: qualcosa come: “di fronte ai diritti negati alla nostra categoria, di fronte ai
problemi, serissimi, di libertà che ci sono in questo paese, questo tipo di polemiche
linguistiche vanno in secondo piano; risultano stupide provocazioni”.
È giusto? Assolutamente no! Anzi, i due campi (libertà e lingua) sono
intrinsecamente collegati. Per chi non ha una forte cultura umanistica è
forse difficile da capire; ma sono sempre gli scrittori, gli umanisti, insomma
coloro che usano e conoscono la propria lingua, ad essere coloro che portano le
società verso il miglioramento (“i have
a dream”, diceva uno che, di lavoro, non faceva altro che parlare). La Scienza
ci dà i treni, l’acqua corrente, la rete. Ma la libertà ce la dà la storia, ce
la dà la lingua che usiamo. Per fare un esempio: internet da solo è come, anzi molto peggio, della televisione. Come la
televisione, tutto sta nell’uso che ne facciamo.
L’impiego smodato di termini americani (o
americanizzanti) che facciamo; le continue vessazioni che la lingua italiana
deve subire, sono un indice ben preciso di quanto gli italiani sappiano e
vogliano essere liberi e indipendenti. Non
è un caso che Grillo, per dare un messaggio di rivoluzione, non usi la parola internet, ma abbia imposto la parola
italiana, “rete”, ormai utilizzata da tutti. (per capire meglio cosa
intendo leggi: sul concetto di “rete”)
Che in
Italia si abbia un ministero del Welfare, e non uno “Stato Sociale” è un
problema, serissimo, di libertà. Il fatto
che la revisione delle spese attuata da questo governo sia definita Spending
Review, è un problema gravissimo di libertà.
Perché le
parole non sono semplici etichette da attaccare sopra oggetti e idee, ma
sono portatrici di significati e sfumature che rendono il pensiero più
coerente; e queste sfumature sono comprensibili solo e unicamente da un
parlante madrelingua. Qualche mese fa Mario Monti propose una traduzione per
Spending Review. Quale? “riduzione delle spese pubbliche”. Ne scrissi un
articolo (revisione non vuol dire riduzione!) che mi sento di sottolineare in tutto e per tutto ancora oggi. Ne
cito una frase: “chi potrà accorgersi e
protestare se, dicendo di fare una Spending Review, faranno invece una “riduzione”
delle spese?”
O ancora; come
si può pretendere che il muratore veneto, semi-dialettale (se non del
tutto), in caso di difficoltà si senta tutelato, si senta una parte di un paese che gli offre il Welfare?
I gay
italiani sono prima italiani, e poi gay;
anzi, omosessuali. Rivendicare la
propria identità, non è forse l’intento del Gay
Pride? Ebbene: sarebbe molto più
efficace se l’identità fosse quella degli italiani, che sono uomini e
donne, e che poi, ma chissenefrega, sono anche omosessuali. Insomma, il Gay Pride a Roma è fatto da
italiani, ed è rivolto ad altri italiani, a quei nostri connazionali che
per età, religione, stupidità, non riescono ad accettare la libertà sessuale
degli altri. Quindi, perché non dire “orgoglio
omosessuale”? almeno per farsi capire nel profondo da coloro ai quali il
messaggio è rivolto.
Sono certo invece che, se volessimo fare una
giornata di Orgoglio italiano, lo chiameremmo Italian Pride; e ci sarebbe già poco di cui essere orgogliosi (o
poco di italiano). Così come abbiamo fatto il No Monti Day, il No B. Day, e come non ci siamo indignati, a siamo
scesi in strada come indignados. Come non abbiamo
occupato Roma, ma abbiamo preferito occupy
Rome. E tutta un’altra serie di manifestazioni
che si volevano per la libertà, e che non hanno fatto altro, già dal solo nome,
che rendere evidente come siamo privi di pensiero autonomo; privi di
libertà.
Non-liberi; non perché un dittatore ci costringa,
pistola alla mano, a rinunciare ai nostri diritti; ma perché noi stessi non vogliamo, o meglio, non sappiamo, essere
liberi.
Sono andato fuori tema? Forse si, forse no. In ogni
caso, consiglio a chiunque queste 100
pagine, spesso divertenti, de “l’ospedale della lingua italiana” di Roberto
Nobile. E non tanto perché è indubbiamente una bella lettura, leggera e simpatica; quanto perché può essere uno strumento di liberazione del pensiero.
Ant.Mar.
un discorso perfetto e costruttivo, ho già esternato il mio pensiero su F.B. rivolgendomi a politici , giornalisti e "radiotelevisivi " io sono d'accordo con Roberto al 1000%,sento tutto questo come una ulteriore perdita di dignità, con tutto il rispetto per la lingua inglese
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