IL FATTO: Lo
scorso dicembre L’Ue aveva unificato le regole per il deposito e la
registrazione del brevetto unico europeo (cfr articolo). L’idea era di tagliare i tempi di
approvazione, dovuti anche, e in parte, alla traduzione, facendo un brevetto
europeo in sole tre lingue, ovviamente inglese, francese e tedesco. All’accordo
avevano aderito infatti solo 25 paesi su 27 (cfr articolo): L’Italia e la Spagna, i due
paesi più agguerriti per quel che riguarda la tutela e rappresentanza dea loro
lingua a Bruxelles hanno denunciato, come hanno sempre fatto, il
trilinguismo europeo, e hanno deciso di non aderire all’accordo facendo ricorso.
Ma la
Corte di giustizia dell’Ue respinse i ricorsi di Italia e Spagna al
pacchetto legislativo (sentenza nelle cause riunite C‑274/11 e C‑295/11, Spagna
e Italia / Consiglio), ritenendo infondata l’argomentazione dei due Stati.
Secondo noi e secondo gli spagnoli, infatti, la tutela conferita da tale
brevetto unitario non apporterebbe benefici in termini di uniformità, e dunque
di integrazione rispetto al brevetto europeo (garantito dal diritto nazionale).
La Corte di giustizia risponde che invece il brevetto unitario sarebbe
concepito per conferire una tutela uniforme sul territorio di tutti gli
Stati membri partecipanti alla cooperazione rafforzata, e non vuole quindi
arrecare danno al mercato interno di nessuno, né alla coesione economica,
sociale e territoriale dell’Unione. Inoltre, secondo la Corte, non lede le
competenze i diritti e gli obblighi degli Stati membri che non partecipano
alla cooperazione rafforzata.
Il problema è complesso. Da un lato non convincono del tutto le argomentazioni dell’UE: non
porta integrazione, non così come è intesa dalle istituzioni europee, che si
vogliono multilingui (multi- non tri- bi- o monolingui, multi!). Porta uniformità, certo, ma nel senso di
omologazione. A questo aggiungi che l’omologazione
è in direzione guarda caso, delle lingue dei paesi economicamente più potenti
dell’unione… Eppoi, da un punto di vista linguistico, mi pare che vi sia un certo interesse ad avere i brevetti
nella nostra lingua proprio perché si tratta di brevetti, che porteranno
necessariamente innovazioni tecnologiche ecc… il che significa nuove parole. Vi è proprio un interesse culturale,
lessicografico.
Il brevetto unitario secondo la SIB (clicca) |
Dall’altro lato c’è una grossa fregatura per gli
unici due paesi che non hanno aderito: non
avranno le agevolazioni fiscali che spettano a tutti gli altri. Chi vorrà
presentare un brevetto, in Italia o in Spagna dovrà passare dall’ufficio
brevetti nazionale, e cioè pagare le
tasse sia in patria che a Bruxelles... per di più, questo fa parte degli
accordi, tutti i cittadini potranno
presentare nella loro lingua madre la richiesta di brevetto, e sarà loro risposto in questa lingua:
la traduzione in inglese, francese e tedesco verrà dopo, a carico dell’Unione
Europea. Ad ogni modo, Italia e Spagna
potranno entrare nel “circolo” in qualsiasi momento, ma non potranno più
lamentarsi: qualsiasi contrarietà sarà discussa se presentata da una
maggioranza di Stati, e già siamo soli adesso…
Quindi appare abbastanza chiaro che non è tanto, e non
è solo, un problema di integrazione
e di cosiddetta democrazia linguistica,
quello sollevato da Italia e Spagna, quanto
un problema di potere, di prestigio (anche) culturale.
PARLA SQUINZI: Dopo tutti questi mesi, il problema è
lungi dall’essere risolto, e vista la grave crisi economica che vive il nostro
paese, si fanno sempre più forti le voci
che propongono di cedere al ricatto piuttosto che continuare la resistenza…
lasciando così la Spagna sola a cuocere nel suo brodo. Ultima uscita in questo
senso viene dalla bocca del presidente
di Confindustria, Giorgio Squinzi, in audizione alla Camera in commissione
Politiche europee: “L'adesione dell'Italia al brevetto unico europeo” ha un “ruolo cruciale in materia di rilancio e rafforzamento
della competitività delle nostre imprese” e “non possono esserci dubbi e reticenze sull'adesione dell'Italia al
brevetto unitario”.
Secondo Squinzi, infatti, “si brevetta dappertutto in inglese e nella competizione la difesa delle lingue nazionali, pur
condivisibile, nel caso del brevetto
unico e' irrealistica, fuori dal tempo, dall'attualità di oggi e non può
essere un fattore di ritardo”. Quindi, ribadisce, "dobbiamo aderirvi nel
più breve tempo possibile con assoluta determinazione”.
DUNQUE: Squinzi
sembra convinto – e quindi sta parlando a vanvera – che il brevetto unico
europeo preveda solo l’inglese. Se così
fosse, di certo, la Francia sarebbe
stata al fianco di Italia e Spagna. Ma no, Squinzi afferma che già “si brevetta dappertutto in inglese” (?!?!)
Già, già: infatti la Francia e la Germania brevettano in inglese, o, per uscire
giusto un secondo dall’UE, la Svizzera usa solo l’inglese, pur avendo 4 lingue
ufficiali diverse dall’inglese. Infatti la Francia e la Germania non hanno
nessun interesse perché il brevetto unico europeo sia fatto anche nelle loro
lingue, come l’accordo prevede. L’hanno fatto perché a Bruxelles insistevano
tanto, ma loro già brevettano in inglese… ce
li vedete voi i francesi a fare brevetti in inglese?
Proprio questa importanza che Francia e Germania danno alla
propria rappresentanza linguistica dovrebbe
farci riflettere: non è che c’entra qualcosa il prestigio
cultural-linguistico col potere economico-militare?
Inoltre, ma Squinzi evidentemente non lo sa, già all’epoca
dei fatti molti europarlamentari
italiani affermarono che sarebbe stato
più accettabile, non proprio giusto, ma più accettabile, se fosse stato fatto solo in inglese,
proprio perché questo rappresenta di fatto la lingua vernacolare, volenti o
nolenti. Scegliere invece tre lingue è
uno schiaffo alla cultura linguistica degli altri paesi, che non hanno
abbastanza potere da imporre la loro presenza.
Non so dal
punto di vista economico, nemmeno mi interessa molto, ma non credo che la
traduzione costi poi così tanto in termini di competitività. Insomma: fate un
prodotto nuovo e davvero valido, e saranno loro a chiederlo, anche se dovesse avere
un nome italiano: non è questo il capitalismo quello vero?
Dal punto di vista linguistico, come ho detto, c’è un grande
interesse ad avere le eventuali parole nuove nel nostro idioma. Dal punto di vista “burocratico”,
questa decisione è contraria a tutti,
ma proprio tutti, i trattati europei
che riguardano le lingue. Dal punto di
vista politico è nostro interesse che la lingua italiana sia ben
rappresentata nell’Unione Europea.
Vogliamo esser fieri, ogni tanto? Abbiamo, insieme
alla Spagna, alla Francia e alla Germania una delle lingue
più ricche, che più hanno dato alle altre, che più hanno detto nella
storia. Abbiamo una cultura-tradizione linguistica che è tra le più prestigiose del mondo, e la lingua italiana è lingua
ufficiale anche in Svizzera, in Croazia,
in Slovenia… è la prima lingua straniera insegnata in Australia accanto al cinese… insomma,
non è proprio come lo svedese o il lituano.
Per non parlare poi dello Spagnolo, che compete direttamente col
cinese, saltando a piè pari l’inglese, come lingua più parlata al mondo. Nel
caso dello spagnolo proprio non si
capisce a che pro escluderlo e includere invece il tedesco…
Ant.Mar.
Nessun commento:
Posta un commento
ogni commento non costruttivo sarà eliminato.