Federiga Bindi, Direttrice dell'IIC a Bruxelles |
“La mia missione è
promuovere la nostra cultura presso gli stranieri, non siamo il dopolavoro degli italiani, e il giorno in cui in questa sala non ci saranno italiani per me sarà una
vittoria”.
Così risponde Federiga Bindi, Direttrice dell’Istituto
Italiano di Cultura a Bruxelles alle obiezioni di chi lamentava che durante la
presentazione del film “Girlfriend in a coma”, il 18 gennaio 2013, si parlasse in inglese fra italiani.
Ha ragione: gli
istituti di cultura italiana all’estero non
mirano a intrattenere gli italiani emigrati, come invece facevano i “dopolavoro”
e le “case d’Italia” al tempo del fascismo; quando l’intento era non solo
attirare e ‘fascistizzare’ le masse di emigrati, ma anche, e soprattutto, da farli restare italiani, con programmi
mirati soprattutto per i bambini nati all’estero.
Oggi, non è più questo
l’intento, per fortuna. Oggi, ciò
che gli istituti di cultura italiana si propongono è, come giustamente afferma
la Bindi, la promozione della nostra
cultura presso gli stranieri, presso coloro che con l’Italia non hanno
niente a che fare; presso quei pochi che si interessano alla nostra immensa
cultura e tradizione. Proprio per questo una delle attività più importanti degli
istituti di cultura è l’insegnamento della lingua italiana come lingua
straniera.
Dunque, non dev’essere
stata una bella giornata per la direttrice dell’istituto di cultura italiana a
Bruxelles, visto che la stragrande
maggioranza dei presenti era di nazionalità italiana, cosa che ha portato
al paradosso di vedere italiani, in una città francofona, parlare inglese
tra di loro. Il trionfo del cosmopolitismo! Ma la missione, dal punto di
vista della Bindi, è tutt’altro che compiuta: l’istituto da lei diretto non attira gli stranieri.
Pertanto è lecito chiedersi:
dove ha sbagliato Federiga Bindi, che voleva attirare gli stranieri e si è
ritrovata circondata da connazionali?
C’è da dire che secondo molti degli
italiani che partecipano alle iniziative dell’istituto italiano di cultura, la Bindi è la direttrice che ha meglio
saputo organizzare e promuovere mostre ed eventi, senza, ovviamente, avere
delle risorse superiori ai precedenti; anzi probabilmente inferiori. E nessuno
le toglierà questo merito. Ma a parte la scarsità di risorse, a cui pare che la
Direttrice faccia fronte alla grande, cos’è
che tiene ancora lontani gli stranieri interessati alla nostra cultura?
Innanzi tutto – e questo
è un dato di fatto che la Bindi sembra ignorare – la stragrandissima
maggioranza di coloro che studiano la lingua e la cultura italiana non essendo
di nazionalità italiana, sono comunque
discendenti di terza, quarta, quinta generazione di emigrati italiani. È genteche vuole riscoprire le proprie radici. Insomma, la nostra lingua non è una “lingua
di lavoro”, come l’inglese e il francese; chi la studia lo fa, nel 99% dei
casi, per puro interesse personale.
Ma soprattutto ciò che
la Bindi non riesce o non vuole capire, è che gli stranieri interessati alla cultura italiana, sono interessati
alla cultura italiana. Proviamo a
capovolgere la situazione: se andassi all’istituto di cultura inglese a Roma, vorrei
fare un’immersione nella cultura inglese, giusto? Libri, film, dibattiti in
inglese. È questo che, da straniero all’estero, cerco in un istituto di
cultura. È questo che i Belgi, francesi, olandesi ecc cercano in un istituto di
cultura italiana: libri, film, dibattiti in italiano.
Locandina del film proiettato all'IIC di Bruxelles |
Come
si può pensare di distaccare la lingua dalla cultura?
La lingua è la cultura: e questo è
vero in particolar modo in Italia. Proprio
perché si proiettano film inglesi in inglese e si fanno dibattiti in inglese, a
mio modesto parere, l’Istituto non attira pubblico straniero. Uno che non è
interessato alla cultura italiana, non verrà all’evento neanche se si parla
inglese. Se si parla inglese, uno straniero interessato alla cultura italiana,
che ce viene a fa’?
L’Italia ha un’immensa storia culturale e se solo
avesse un briciolo di ambizione, potrebbe trarne immensi vantaggi di influenza. "Ma servirebbe coerenza, visione,investimenti, gioco di squadra e una strategia di cui gli Istituti di culturasarebbero solo uno degli attori. Tutto questo non esiste, non è mai esistito eviene da credere che non esisterà mai".
E non esisterà mai
proprio perché noi stessi italiani percepiamo la nostra lingua e la nostra
identità immancabilmente come “perdente” di fronte alle altre lingue. Ma non è in fondo neanche una questione linguistica, è il potere economico, militare e culturale a far diventare una lingua "prestigiosa": la lingua italiana perde di prestigio di pari passo con il paese Italia. Non è la lingua a salvarci, ma una forte politica culturale,
una forte cultura che si sappia rinnovare. Solo dopo viene la lingua e il suo
prestigio; solo perché l’America è l’America
oggi si parla inglese nel mondo; con le caratteristiche della lingua, con la
linguistica, questo c’entra poco e niente.
Finché, insomma, non
capiremo che è la nostra storia, è la
nostra cultura a darci prestigio e potere nel mondo, non potremo che
continuare ad affondare come nazione e come popolo, come facciamo
ininterrottamente dal dopoguerra a oggi.
Quando in quella sala
dell’Istituto Italiano di Cultura a Bruxelles non ci saranno più italiani, come
si augura Federiga Bindi, quella sala
sarà vuota. E sarà vuota probabilmente anche l’Italia, svuotata di se
stessa.
Ant.Mar.
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