mercoledì 19 dicembre 2012

LE SCORIE RADIOATTIVE E WITTGENSTEIN



mappa dei depositi di scorie nucleari in Italia

Secondo molti il mondo dovrebbe rinunciare all’energia nucleare, ritenuta pericolosa sia per noi, oggi – in caso di incidente – sia, e soprattutto, per le generazioni future – e non si tratta dei nostri figli, ma di coloro che popoleranno il pianeta tra centinaia, migliaia di anni; se ci saranno.

Infatti, il problema più grave, e che si è ben lontani dal risolvere, è lo stoccaggio delle scorie nucleari, che restano radioattive, e quindi dannose per uomini, animali e piante per un tempo spaventosamente lungo. Basterebbe, per farci riflettere, che ognuno dei depositi di queste scorie è ufficialmente momentaneo; o che nessun assicuratore si sognerebbe di assicurare una centrale nucleare, visti i costi stratorferici in caso di incidente. Ma non è questo il luogo, né sono io la persona adatta a spiegare i problemi tecnico-scientifici dell’energia nucleare: non ne ho la preparazione.

C’è tuttavia un aspetto, che non viene mai trattato, che si ricollega direttamente a problemi di filosofia del linguaggio e che ci suggerisce chiaramente che il nucleare non è una buona strada. Prendo spunto da una vecchia puntata di Report della Gabanelli, intitolata in modo “fazioso” l’inganno nucleare. In particolare vi consiglio la visione di questo video, apartire dal minuto 6.45 in poi. Il nostro Michele Buono va a Parigi (la Francia è il paese più nuclearizzato al mondo, e il più all’avanguardia: basti pensare che i giapponesi chiesero l’aiuto di esperti francesi per il disastro di Fukushima.) a parlare con un rappresentante della società ANDRA: Agence Nationale pour la gestion des déchets radioactives (agenzia nazionale per la gestione delle scorie radioattive).

“Qui si sono posti una domanda imbarazzante: che succede se una civiltà futura avrà perso la memoria che un tempo si produceva energia con la reazione nucleare, e accidentalmente va a liberare quelle scorie?


Bella domanda: come fare per evitare il peggio? In caso di una guerra mondiale, o di un nuovo medioevo culturale, o di un cataclisma che ci riporti all’età della pietra: come lasciare una memoria agli esseri umani del futuro che in quel preciso posto è meglio non andare a scavare?

Le strade intraprese dalla società francese sono principalmente tre: una è la memoria storica; l’atra è l’informazione “passiva”; l’ultima è la creazione di un linguaggio che sia comprensibile in ogni luogo, in ogni tempo, in ogni cultura.
logo della ANDRA

1: la memoria storica: l’ANDRA organizza conferenze, riunioni, volantini, libretti informativi e quant’altro per trasmettere l’informazione alla gente che abita nelle immediate vicinanze del posto di stoccaggio delle scorie; in modo che le trasmettano ai propri discendenti e che rimanga, tra centinaia di anni, una sorta di memoria inconscia che impedisca, in qualche maniera, alle generazioni future di andare a “fare un buco” proprio lì. Ma, se questa civiltà futura avrà perso la memoria dell’energia nucleare, che cosa può rimanere di questa consapevolezza tra migliaia di anni? Forse una specie di superstizione, per cui le nonne dicono ai nipotini di non andare a giocare nel “bosco maledetto”; finché non arriverà un “illuminista” a liberarci dalle nostre superstizioni. Senza contare gli spostamenti delle persone: i discendenti di chi abita in quel luogo adesso, staranno ancora lì? Non si può dire, ma è improbabile.

Mettiamola così, quanto abbiamo ereditato noi della cultura, del modo di fare, persino della cucina di coloro che popolavano l’Italia secoli orsono? Molto, ma molto poco. Dante non conosceva il pomodoro: sui ricettari dell’epoca si consigliava di cuocere la pasta in una grande teglia, con un fondo di acqua salata, 20 minuti per lato, in modo da farle uscire tutto l’amido. Una cosa che a noi, oggi, farebbe schifo. E questo solo per parlare della tradizione culinaria, che nel nostro paese è molto forte. Persino la concezione della religione cattolica è cambiata: e non solo nei credenti, nella stessa Chiesa. Insomma: le possibilità che questa soluzione non funzioni, che la trasmissione della memoria si interrompa a un certo punto, sono molto alte.

2: l’informazione passiva: per ovviare al problema dell’eventualità di un’interruzione del passaggio di informazioni da generazione a generazione, l’ANDRA ha prodotto dei cartelli scritti in un gergo molto semplice; “praticamente leggibile da tutti”. Da tutti coloro che parlano francese: questa è probabilmente la soluzione migliore, considerato che è assai probabile che fra 100 anni si parli ancora francese in Francia; un’evoluzione di quello attuale, ma pur sempre figlio di quello. Un po’ come noi che riusciamo, seppur con fatica, a leggere Dante. Ma fra 500 anni? La lingua sarà talmente cambiata da non essere più comprensibile se non per esperti filologi. Noi italiani, infatti, riusciamo a leggere Dante perché la nostra lingua non si è evoluta per secoli, non essendo stata parlata veramente fino al ventesimo secolo. Ma quando una lingua subisce la cosiddetta “pressione del parlato” evolve molto più velocemente: e infatti i francesi, o gli inglesi, che si trovano a leggere scritti nella loro lingua risalenti al medioevo si trovano di fronte a una vera e propria lingua straniera: con diversa pronunzia, diverso sistema grafico, persino qualche diversità grammaticale. Lo vediamo anche noi, che parliamo italiano da nemmeno un secolo, come la nostra lingua è diversa da quella dei nostri nonni; figuriamoci da quella di Dante, il quale non parlava la lingua che ha usato per la sua Commedia: insieme di dialetti del centro e del nord (e un pochino anche del sud).

3: un linguaggio che sia comprensibile sempre e da chiunque. Questo è un problema su cui la filosofia del linguaggio si interroga sin dai tempi di Aristotele e Platone, e difficilmente l’ANDRA lo risolverà. Certo, stanno lavorando e studiando, nella consapevolezza che questo fantomatico linguaggio non deve essere pronto domani; nella speranza che rimanga ancora parecchio tempo a nostra disposizione. In realtà non si tratta di creare un “linguaggio” (termine che implica caratteristiche molto particolari), ma piuttosto un sistema di comunicazione: si tenta di creare dei segni. Alla domanda di Michele Buono giornalista di Report “ma siete sicuri che esistano dei segni capaci di attraversare il tempo con lo stesso significato?”, il rappresentante dell’ANDRA risponde “a questo non è ancora stata trovata una risposta”. Un modo carino per dire: “è assai improbabile che ci siano tali segni”.

Tanto per fare un esempio banale: la svastica. Ha cambiato significato questo simbolo, nel corso dei secoli, oppure no? Tutto (proprio come le parole) dipende dal contesto: vedere una svastica su un tempio buddista indiano è una cosa; vedere quel simbolo su un bandierone nazista è altra cosa. Ma oggi, se vediamo la svastica senza contesto, a cosa pensiamo per prima cosa? A Buddha o a Hitler? Poco importa che gli uncini della croce siano verso destra o verso sinistra. Persino il simbolo di Alba Dorata, movimento neonazista greco, richiama alla nostra mente ben altri significati che non doveva fare con gli antichi Greci.
simbolo di Alba Dorata

Wittgenstein disse: “se un leone potesse parlare, non lo capiremmo”. Perché il leone è così diverso da noi, vede il reale in modo tanto diverso dagli umani, che se anche parlasse ci sarebbe impossibile capirlo. Restando nella stessa razza animale: se Giulio Cesare si presentasse domani a casa di un latinista in grado di parlare correntemente latino, si capirebbero? Quasi sicuramente no. Come reagirebbe un antico romano a chi tenti di stringergli la mano? Non è dato saperlo. Per di più, del latino, non sappiamo neanche la reale pronunzia. Pronunciare una parola male in inglese, o in francese, o in tedesco (ad es. con forte accento italiano), la rende spesso incomprensibile per un madrelingua. E in latino? Probabilmente.

Mi fermo qui: non voglio fare una lezione di filosofia del linguaggio. Spero però di avervi dimostrato come il problema più grave prodotto dall’energia nucleare, cioè le scorie radioattive, è ben lontano dall’essere risolto: anzi appare irrisolvibile. E per capirlo non c’è bisogno necessariamente di conoscenze scientifiche sul funzionamento della scissione atomica. È sufficiente avere un po’ di conoscenza linguistica e filosofica.

Ant.Mar.

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