Lettera inviata al Corriere della sera dal professor Sergio Lepri, docente di
linguaggio dell’informazione e tecniche di scrittura, sul sessismo della lingua italiana.
Prof. Sergio Lepri |
Ogni lingua è basata su un principio androcentrico e
l’uomo è il parametro intorno a cui ruota e si organizza l’universo
linguistico. Là dove è possibile si cerchi di evitare qualche espressione
maschilista, anche se storicamente accreditata. Invece di «L’uomo è misura
di tutte le cose» si dica «L’individuo…»; invece di «L’uomo della preistoria…»
si dica «L’uomo e la donna della preistoria…»; invece di «La storia dell’uomo…»
si dica «La storia dell’umanità…».
I casi che capitano più spesso riguardano le cariche e
le professioni. I casi più semplici sono quelli dei nomi che hanno la stessa
forma al maschile e al femminile; si tratta solo di cambiare l’articolo: «il
presidente», «la presidente»; «il preside», «la preside»; «il parlamentare»,
«la parlamentare»; «il vigile», «la vigile».
Il problema è facilmente risolubile anche con i nomi
che hanno una regolare forma femminile: «senatore» e «senatrice»,
«amministratore» e «amministratrice», «direttore» e «direttrice», «redattore» e
«redattrice»; analogamente per «consigliere» e «consigliera» e per «deputato» e
«deputata».
La soluzione è resa tuttavia difficile da alcune
donne che preferiscono la qualifica al maschile: senatrici (Susanna
Agnelli, quando lo era) che preferiscono essere chiamate «senatori»,
direttrici che preferiscono essere chiamate «direttore», presidenti (Irene
Pivetti, quando lo era) che preferiscono essere chiamate «il presidente»,
come se la legittima parità rispetto all’uomo dovesse essere ratificata
dalla parallela conquista del suo titolo al maschile.
Più difficili sono i casi in cui il nome maschile non
ha in uso corrente, fino ad oggi, la forma femminile: «architetta», «medica»,
«chirurga», «ingegnera» (ma esiste «infermiera), «sindaca» (ma esiste «monaca»)
e soprattutto «ministra». Da escludere sono i femminili costruiti con il
suffisso -essa (avvocatessa, soldatessa, vigilessa), un suffisso che ha una
vaga valenza negativa, salvo i casi già entrati da tempo nell’uso comune
(professoressa, dottoressa, poetessa, studentessa, sacerdotessa).
Un invito a un uso non sessista della lingua è
stato fatto dall’Unesco in un documento pubblicato nel 1994, in
applicazione dei deliberati della venticinquesima e ventiseiesima sessione
della Conferenza generale. Il documento, in francese e in inglese, «vuole
aiutare a prendere coscienza che certe forme di linguaggio possono essere
sentite come discriminatorie per le donne, perché tendono a nascondere la loro
presenza o a farla apparire come eccezionale».
Il documento propone delle soluzioni alternative;
qualche esempio per l’inglese (proposte già largamente adottate negli Stati
Uniti): «chairperson» o «president» invece di «chairman»; «photografer» o
«camera operator» invece di «cameraman», «police officer» invece di
«policeman». Alcuni esempi per il francese: «la ministre», «la secrétaire
générale», «la présidente», l’ «envoyée extraordinaire», «la directrice», «la
secrétaire générale», «la juge», «la conseillère».
Ministra: A chi trova imbarazzo a usare «ministra» per la
donna che è a capo di un ministero e preferisce il maschile «ministro» (con
possibili casi di comicità: «Tutti hanno notato la gonna rosa pastello del
ministro…») giova ricordare che «ministra» è parola antica, che si trova
in scrittori come Annibal Caro, Torquato Tasso, Vincenzo Monti (sia pure con
significati differenti) e anche in Giosué Carducci. In francese dicono «la
ministre» («ministre» è maschile e femminile) e in tedesco «die ministerin».
Cancelliera: Giusto. Per Angela Merkel i giornali usano,
correttamente, la parola «cancelliera». Perché, allora, non usare anche
«ministra», in italiano, per le donne a capo di un ministero? In spagnolo la
parola «presidente», che è maschile e femminile come in italiano, ha anche il
femminile «presidenta»; e l’ha stabilito un secolo fa la Reale Accademia
spagnola della lingua (fondata nel Settecento sul modello dell’italiana
Accademia della Crusca).
Kirchner: Cristina Kirchner (meglio: Cristina Fernandez de
Kirchner; Kirchner è il cognome del marito ed ex presidente, Néstor Carlos,
morto nel 2010) è dal 2007 presidente della repubblica argentina.
È correttamente chiamata «presidenta»; è un nome ufficiale (si veda la
voce cancelliera) e non ha senso usarlo tra virgolette, come fanno molti
giornali. Il cognome Kirchner è di origine tedesca, ma in spagnolo è
pronunciato kircner con la c di «cena».
Soldatessa: Basta con
l’uso di «soldatessa» al posto di «soldata». È segno di ignoranza. Il
femminile di «soldato», che è il participio passato di «(as)soldare», è
«soldata»; come «deputata» è il femminile di «deputato».
Mi sembra che chi etichetta come sessiste specifiche scelte lessicali a volte faccia confusione tra genere grammaticale (una categoria morfologica), genere naturale o reale (il sesso di una persona o di un animale) e il cosiddetto genere sociale (gli stereotipi e le aspettative di tipo sociale e culturale associati al ruolo dell’uomo e della donna ed espressi soprattutto tramite atteggiamenti, comportamenti, trattamenti, opportunità ecc.).
RispondiEliminaChi è convinto che sia sessista chiamare una donna sindaco (sostantivo maschile), per coerenza dovrebbe trovare altrettanto sessista dire che un uomo è una persona o che lavora come guardia o guida (sostantivi femminili) o dargli del lei.
La mia sensazione è che le forme femminili “forzate” tendano a sottolineare che in quel ruolo c’è una donna, come se fosse una cosa insolita e inaspettata, mentre il sesso di chi fa cosa dovrebbe essere irrilevante. Forse non è casuale che a proporre queste forme siano soprattutto uomini oppure donne in professioni che prevedono già la forma femminile, mentre le dirette interessate spesso preferiscano la forma maschile.
Sono assolutaente d'accordo con te, e difatti, negli articoli a riguardo scritti di mia mano sollevo sempre questo problema. Qui mi sono limitato a riportare la lettera del professor Lepri, senza nulla togliere nè aggiungere.
RispondiEliminaè innegabile che si faccia confusione tra genere reale e genere grammaticale, come è assolutamente vero che forzare il femminile è una sorta di discriminazione, che sottolinea il sesso dell'interessata.
E infine, non si può accusare di sessismo e maschilismo chi usa la propria lingua madre così come è... che un idioma naturale possa essere maschilista è un'idea un po' giusta, e un po' bizzarra, che però non hanno avuto gli uomini, bensì le donne femministe, a cui gli uomini (e le donne) cercano di adattarsi senza troppo criticare, per non essere accusati a loro volta di maschilismo...
Ritengo pertanto che non valga la pena starci troppo a riflettere: più si scava più si scopre che la questione è di "lana caprina". L'unico punto importante e imprescindibile: nessuno può imporre un uso linguistico a nessun'altro!! per nessun motivo.