martedì 22 novembre 2011

"CI RIPRENDEREMO IL FUTURO!"

Una delle lamentele fondamentali dei giovani di tutto il mondo che in questi mesi stanno riempendo le piazze, a partire da Zuccotti Place, vicino Wall Street, è la mancanza di prospettive future. Uno dei motti degli indignati italiani è "Riprendiamoci il futuro!". Che sia vero o no, la sensazione che il futuro che aspetta i giovani sia peggiore (meno libero e insieme più povero) di quello a cui hanno potuto aspirare i loro genitori, è diffusissima. A Milano qualche tempo fa ho letto su un muro del centro questa bellissima frase: "non c'è più il futuro di una volta" (credo sia una citazione).


Riportando il discorso nei nostri confini nazionali, la parola "gerontocrazia" si sente sempre più spesso. Non sto qui a discutere le cause, il perchè e il per come di questa situazione. Solo, questi fatti mi stimolano una piccola riflessione (probabilmente tra l'altro non credo di essere il primo ad averla fatta): c'è un tempo verbale che nell'orale è praticamente sparito, e nello scritto comincia a vacillare; e non si tratta del congiuntivo, che in realtà è usato, e bene, da quasi tutti i parlanti, di qualsiasi classe sociale. È il futuro, guarda caso, che sta sparendo dalle nostre bocche. Non vediamo nulla di strano in una frase del tipo "domani vado in palestra"; o ancora "l'anno prossimo vado in Tibet". 

Potrebbe essere questo un caso di sorprendente corrispondenza tra un mutamento linguistico e un mutamento sociale? Se parliamo un eterno presente, ragioniamo in un eterno presente; siamo, insomma, nella condizione di un lavoratore precario, costretto a ragionare veramente a intervalli brevissimi, di 6 mesi, per procurarsi il companatico. Se così fosse, se cioè siamo come dei "precari della vita", avremmo un bel dire "riprendiamoci il futuro"; il futuro lo stiamo perdendo, nelle nostre teste innanzitutto, ed è questo uno degli aspetti più allarmanti: non ragioniamo più con una lungimiranza che superi l'anno. Chiedete a un ragazzo di 20 anni come si vede tra 20 anni, io credo che non saprà rispondere.

Un'ultimo spunto: c'è un caso in cui il futuro è ancora usato. Guarda un po': è il futuro "dubitativo"; in frasi del tipo "sarà questo il modello giusto?" "avrà ragione lui, ma io non lo capisco". Curioso che il futuro ci stia restando solo nel dubbio, mentre per esprimere ciò che faremo con certezza utilizziamo il presente.

Sarebbe interessante vedere se le altre lingue occidentali hanno caratteristiche simili. Posso dire che in francese ho l'impressioni che si usi molto di più il futuro "composto", traducibile con l'italiano "sto per", che non il futuro semplice. In un discorso orale francese si direbbe piuttosto "L'année prochaine je vais faire du ski" (l'anno prossimo "sto per" "vado a" fare sci) che "je ferais (farò) du ski".

Insomma, per riprenderci il futuro sarebbe utile, forse, dire "ci riprenderemo il futuro" piuttosto che "riprendiamoci". Solo che, appunto, un moderno quando legge "ci riprenderemo" pensa immediatamente "quando?", poiché vuole, è abituato, che le cose accadano subito. Ai nostri occhi appare dubbioso anche questo futuro, proiettato troppo in là per noi, intenti ad assorbire in tempo reale i miliardi di informazioni quotidiane e a dimenticarle alla mezzanotte, per ricominciare, senza passato e senza futuro, in un eterno presente. E internet è il veicolo principale di questo fenomeno psico-linguistico.

D'altra parte esistono lingue senza un tempo futuro, e non si può dire che a priori una lingua si impoverisca perdendo un tempo verbale (poichè esprimerebbe il futuro in altri modi). Qui si vuole solo stuzzicare le idee notando che, all'idea diffusa di "perdita" di futuro nella politica dell'occidente, si accompagna almeno negli italiani una perdita dell'espressione linguistica direttamente assegnata a questa funzione. Che il futuro sia espresso col presente, ma che sempre di futuro si tratta, è chiaro, ma non è il punto del discorso che ho voluto fare.

Ant.Mar.

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