mercoledì 20 marzo 2013

ANCHE L'UNIVERSITÀ CA' FOSCARI BOICOTTA L'ITALIANO.



IPOCRISIA ANTI-INGLESE: L’Università Ca' Foscari di Venezia annuncia che bandirà dal prossimo anno accademico gli studenti che non saranno in possesso del certificato che attesti la loro conoscenza dell'inglese. Questa bella iniziativa è dovuta al rettore dell'istituto, Carraro, e trova l'appoggio di tutti, ma proprio di tutti. Anche dei leghisti, che difendono il dialetto, ma se ne strafottono dell'italiano. È la spinta anglicizzante che sta occupando moltissime università del nord, e ed è favorita dai nostri politici, messa nero su bianco dall’AgendaMonti. Il primo fu il Politecnico di Milano, che dal 2014 farà corsi magistrali unicamente in inglese. In Italia. In inglese. In Italia. Per studenti italiani. Siamo già a quota sei università. Italiane. In inglese. In Italia.

A moltissimi italiani, a giudicare dalle voci in rete per quanto riguarda il popolo; e dalle decisioni prese ufficialmente per quel che riguarda la classe dominante, pare una buona idea, non solo al rettore e agli addetti ai lavori, ma proprio all’italiano medio sembra un’ottima idea finirla con la nostra lingua, inutile, e cominciare a parlare inglese, che, lui sì, è una lingua che serve a qualcosa. L'inglese. In Italia. Questa è ipocrisia, provincialismo, ignoranza, o più probabilmente malafede; secondo il presidente della regione Veneto, Luca Zaia, invece, l'ipocrita sono io:


"Bisogna smetterla – dice Zaia – con l'ipocrisia che domina certi ambienti del mondo della scuola che trasmettono un messaggio agli studenti che equivale a dire: non studiate l'inglese, anche perché, forse, proprio chi sostiene queste tesi è il primo a non conoscerlo. In un mondo globalizzato come quello in cui i nostri operatori economici e le nostre imprese si trovano a vivere, strettamente interconnesso a livello finanziario e informativo, dove con poche ore d'aereo si arriva in ogni parte del globo, è impensabile ipotizzare una formazione di alto livello per i nostri giovani senza che essa sia accompagnata dalla conoscenza dell'inglese e non si venga a dire che la lingua al livello richiesto da Ca' Foscari è roba da figli di papà:[come dire: non vi preoccupate, che tanto il livello di inglese sarà basso...!] io stesso non ho studiato l'inglese andando a Cambridge coi soldi della famiglia ma approfondendolo sui libri durante i miei studi universitari e continuando a farlo tutt'ora con i corsi on line. Che sono gratis e a disposizione di tutti". 

I corsi di inglese, gratis; proprio perché i paesi anglosassoni valorizzano e spendono per la diffusione della propria lingua. A noi non importa nulla di valorizzare la nostra. I corsi di italiano, costano invece. Parlare italiano costa. In Italia. 

L'ipocrita, invece, è Zaia, e la gente come lui, ignorante o in malafede; anzi, ignorante E in malafede. Ipocrita è il suo atteggiamento, e quello del ministro Profumo e dei vari rettori, che equivale a dire "non studiate l'italiano"; e non il nostro, che è invece di valorizzazione, e che non vuole escludere affatto l'inglese. Ma, per dio, neanche le altre lingue, tra cui, sopratutto, l'italiano; visto e considerato che è la nostra lingua. Eppoi, io sono libero di NON sapere l'nglese, ma il francese, o il polacco se mi aggrada. E sopratutto ho il DIRITTO di parlare la MIA lingua, studiare nella mia lingua, fare e leggere scienza nella mia lingua; lo Stato ha il DOVERE di comunicare con me nella mia lingua - che è anche la sua, fino a prova contraria; nonostante il Ministero del Welfare. In Italia.

Mi calmo. Questo di Luca Zaia è il discorso che fanno, con più o meno cognizione di causa, gli italiani. Perché sono contrario, da tutti i punti di vista, all’abbandono della MIA lingua l’ho scritto varie volte, in molti articoli, ma forse è il caso di ripeterlo, molto brevemente. È da completi idioti pensare che l’apprendimento sia di migliore qualità se fatto in una lingua diversa da quella parlata dallo studente – che non solo dovrà faticare di più per capire, ma dovrà faticare di più anche per interiorizzare e dominare perfettamente la materia, trattata con parole non sue. E poi, una volta arrivato ai livelli alti, non avrà il llessico italiano necessario, ma tratterà tutto in inglese; cosicché la lingua italiana si troverà invasa, auto invasa, da ulteriori termini tecnici stranieri, sempre più incomprensibili per la maggior parte degli italiani. Un muro sociale. Inoltre, prendiamo il caso del Politecnico: i costi per anglicizzare tutto, dai docenti alla strumentazione, sono molto più alti di quanto non sia la scelta della lingua madre. Quei soldi, magari, si potrebbero spendere per insegnare BENE invece che per insegnare in inglese.

DIRITTI NEGATI: Ma oltre ai problemi evidenti dal punto di vista economico e linguistico, vediamo la cosa dal punto di vista politico, attraverso le parole di Giorgio Pagano, segretario dell’ERA.

"Si tratta di una palese e gravissima negazione del diritto a studiare in Italia in italiano e della libertà di scelta della lingua straniera da apprendere. È impensabile che il rettore Carlo Carraro utilizzi la conoscenza della lingua inglese per avere 'studenti più selezionati', come lui stesso afferma, come se questo fosse un filtro neutro che non discrimina nessuno. Favorisce invece sempre di più le nazioni lingua madre inglese e segna il fatto che si sta ormai galoppando verso la secessione per via linguistica delle Università del Nord. Esse in blocco decidono di rinunciare sempre più all'istruzione in italiano optando per quella in inglese, come se l'inglese fosse la nuova 'terra nullius', la terra di nessuno, invece che una lingua nazionale portatrice di interessi economici e politici, non viatico d’internazionalizzazione bensì di colonizzazione”. 

"E' palese, infatti, che puntare sull'istruzione in lingua inglese è deleterio sia perché la formazione in una lingua che non è la propria è inevitabilmente più scadente, sia perché tutto questo non fa altro che consegnare il nostro Paese, anima e corpo, alla colonizzazione angloamericana”.

“Sarebbe ora che tutti quanti questi signori, compreso il neo adepto profumiano Carraro, la smettessero di collaborare al disfacimento delle nostre Università, adoperandosi, al contrario, per dare un'effettiva chance ai nostri giovani, che non dovrebbero sapere l'inglese per poter avere accesso alle università pubbliche e suolo italiano. L’internazionalizzazione si fa rilanciando e promuovendo la cultura e le eccellenze italiane in patria e all'estero in lingua italiana, e non in una lingua altrui, che alla fine nega gli studi a studenti italiani per favorire gli stranieri. Chi pensa che questa sia la strada giusta è un illuso o a ha cuore interessi ben diversi da quelli degli italiani”, conclude il Segretario dell'Era.

Niente da aggiungere alle sue parole, niente da obiettare.

Aggiungo solo una domanda, addolorato: perché? Possibile che nessuno dei “colti” di questo paese ami la propria cultura? Che non vedano il problema? Come si può boicottare così apertamente se stessi?

Ant.Mar.

7 commenti:

  1. Se Ca' Foscari avesse decretato che gli studenti di madrelingua italiana devono, oltre a padroneggiare perfettamente l'italiano, conoscere almeno due tra le lingue ufficiali dell'Unione Europea, magari nemmeno questa sarebbe stata la decisione perfetta, ma non avrei avuto nulla da obiettare, anzi avrei applaudito.
    Forse le intenzioni di Carraro sono buone e capisco anche chi è entusiasta di poter comunicare con tutto il resto del pianeta (quantomeno, con la fetta più scolarizzata della popolazione) attraverso l'inglese: costoro prendono ad esempio gli abitanti dei Paesi scandinavi, che quando si rivolgono a uno straniero, lo fanno spontaneamente in inglese, perché danno per scontato che l'inglese sia la lingua internazionale.
    Ma anche se le intenzioni sono buone, io vedo molto vicino il momento in cui davvero l'italiano diventerà la lingua dei vecchi - ossia degli ignoranti - buona per parlare solo di timballi, affreschi e sinfonie; e che, piano piano, scomparirà.

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    1. Se avessero decretato di dover conoscere almeno due lingue ufficiali, almeno, sarebbero andati incontro alle direttive europee di multilinguismo; sarebbe stato certamente meglio.
      Nei paesi scandinavi, è vero, parlano un ottimo inglese, e hanno ragione: l'inglese è di fatto la lingua internazionale, e parlarlo è comunque un vantaggio. però - non so come sia da questo punto di vista in quei paesi - l'insegnamento nella lingua dello studente, e del paese in cui si è, rappresenta un diritto di libertà e identità. Inoltre, è importante sottolinearlo, l'italiano è una lingua con molti più parlanti madrelingua di quanto non sia il norvegese, e più prestigiosa, una lingua di "cultura"; dovremmo valorizzare e conservare questa fortuna (sia nel senso di buona sorte che di ricchezza). Ma purtroppo, hai ragione, sembra che il momento in cui l'italiano sarà relegato a un ambito famigliare - diventando un "dialetto" - si stia avvicinando pericolosamente.

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  2. Non mi sembra una tragedia questa iniziativa dei corsi specialistici in inglese, vivo in Svezia e qui tutti i livelli universitari successivi al bachelor (ovvero la nostra triennale) prevedono l'insegnamento in lingua inglese. In generale, non credo si tratti di auto-colonizzazione o abnegazione della nostra cultura, ma credo sia un ottimo modo per preparare le future/attuali generazioni ad essere competitive rispetto ai coetanei stranieri e a lavorare all'estero avendo già padronanza della lingua internazionale e veicolare.
    Sono d'accordo solo quando lei dice che l'apprendimento per lo studente in una lingua diversa dalla sua sarà inferiore (o almeno non immediato) e più difficoltoso, ma credo che il gioco valga la candela.
    La Svezia ha circa 9 milioni di abitanti, un sesto dell'Italia, ma qui c'è lavoro, per cui forse conviene imparare lo svedese. Punti di vista, naturalmente.

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  3. Capisco il suo punto di vista, e c'è anche da sottolineare il diverso ruolo che ha la lingua per gli italiani rispetto agli svedesi. Non solo per noi la lingua è stato il veicolo primario per unificare il popolo (cioè primo elemento identitario), ma abbiamo anche una tradizione culturale in lingua più forte, cosa che ci accomuna agli altri paesi mediterranei neolatini. Questo dato culturale rende per noi (e Spagna e Francia) molto più difficile accettare l'abbandono della lingua. Ma il punto è proprio la difficoltà di studiare in una lingua straniera: cosa ci rende più competitivi, la capacità di padroneggiare a perfezione una materia, o il parlare inglese? Senza contare che la lingua inglese è la lingua veicolare non certo per volontà divina o per qualche supposta superiorità: lo è unicamente perché è a lingua dell'impero dominante in questo periodo storico; è una pura questione di potere economico, politico e militare. Come fu per il francese, e prima ancora per il latino. Infine, immaginiamo i laureati del futuro che resteranno in Italia: dovranno comunicare con i cittadini (ad esempio un commercialista, o un ingegnere ecc...) non avendo le parole italiane per farlo, avendo imparato tutto in inglese. Sul lungo termine si crea un vero problema di democrazia, cioè accesso all'informazione e capacità di comprenderla da parte delle classi meno colte (che poi sono le più povere). Perché un pescatore siciliano dovrebbe sapere che cos'è il Welfare, e sentirsi parte di uno stato che gli propina il welfare, e sentirsi da questo tutelato? Il più preciso e puntuale accusatore dell'imperialismo della lingua inglese (definizione sua: "imperialismo") è proprio guardacaso un linguista inglese, Robert Phillipson. Se le interessa, troverà su youtube diverse interviste, glielo consiglio vivamente. Sentir dire certe cose da un madrelingua inglese, toglie ogni dubbio di autarchia o altro...

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  4. Non è questione di imperialismo inglese o di tutela della tradizione italiana. I nostri insegnanti e i nostri politici son cresciuti col francese, quando già era diventata una lingua inutile, e ora non saprebbero tenere lezioni in inglese. Né agli studenti italiani viene offerto un insegnamento di qualità sufficiente della lingua inglese: pertanto non saprebbero seguire adeguatamente lezioni "in lingua". Sapere molte lingue oggi è indispensabile altrimenti non trovi un lavoro dignitoso e l'inglese rappresenta la seconda lingua per eccellenza. Io oltre al Veneto e all'Italiano parlo inglese, francese, tedesco e danese. Ho un bel lavoro, ben pagato, pur avendo una laurea poco spendibile, come giurisprudenza, e pur avendo vissuto in un'università incapace di rinnovarsi, mentalmente stanca e con metodi d'insegnamento d'anteguerra. Quindi quando mi capita di leggere simili argomenti, rispondo con "graziealcazzo".

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  5. scusa ma 'boicottare' é un verbo inglesissimo 😂

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  6. Penso che l'utente "danese" faccia una gran pastasciutta di cose poco attinenti l'una all'altra e si dimentichi di questioni chiave. Faccio un elenco non in ordine di importanza.
    1) Dimentica che le lingue del nord europa sono molto più vicine linguisticamente all'inglese. Per un danese l'inglese è quasi come per noi un dialetto nazionale. Questo non è un particolare da poco perché rende via via la vita più difficile per le popolazioni più distanti dai paesi origine di quella lingua. Basti pensare a quanto bene (è un eufemismo) sanno l'inglese gli spagnoli, i portoghesi e i greci insieme agli italiani.
    2) Ci vogliono anni per padroneggiare una lingua, migliaia di ore di studio. Ore che un nativo parlante inglese può dedicare alle altre materie di studio risultando così mediamente sempre in testa rispetto ad un italiano. È un enorme vantaggio competitivo che noi italiani "sportivamente" (o meglio "stupidamente") regaliamo ai parlanti inglese. Forse gli italiani non sono proprio il popolo di furbi che crede di essere.
    3) L'indotto dei corsi, certificazioni, soggiorni all'estero ecc. produce miliardi di euro di guadagno (vedere il famoso "rapporto Grin") per paesi che in gran parte non fanno neanche parte dell'unione europea. Italiani popolo "furbo", seconda puntata.
    4) In Danimarca le condizioni di vita sono mediamente migliori che quelle italiane, ma lo sarebbero ugualmente senza di mezzo l'inglese. La corruzione è bassa. La mafia in pratica non esiste o gliela stiamo importando noi. Lo stato c'è. Gli stipendi sono adeguati. La società tutta e l'università sono meritocratiche e non corrotte. Quindi l'esempio portato centra come i cavoli a merenda.
    5) Un "pescatore" Inglese è in grado di capire le discussioni in merito alle leggi che lo riguardano al parlamento Europeo, di cui non fa neanche parte, in tempo reale. Un pescatore siciliano no, e il livello di istruzione che lo taglia fuori dalla discussione di politica economica è lo stesso del suo corrispettivo inglese. Italiani popolo di "furbi", terza puntata.
    6)Winston Churchill in un famoso discorso disse: "un piano (...) attentamente elaborato per una lingua internazionale, (...) (un) inglese basico (...). Questi piani offrono guadagni ben maggiori che portar via le terre o le provincie agli altri popoli, o schiacciarli con lo sfruttamento. Gli imperi del futuro sono gli imperi della mente". Un grande, in tutti i sensi. E gli italiani si fanno schiacciare volontariamente; popolo di furbi, quarta puntata.

    ...

    e potrei andare avanti ma penso basti...

    Per approfondire: "L’italiano alla prova dell’internazionalizzazione" Maria Agostina Cabiddu docente ordinaria di Diritto pubblico al Politecnico di Milano.

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