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collegamento all'articolo di Sean Coughlan tradotto in italiano |
Il Politecnico
di Milano annuncia che entro il 2014
la maggior parte dei corsi saranno tenuti in
lingua inglese.
Il professor Azzone, Rettore dell’università,
sostiene che questa è una decisione vitale per la sua università. “È
estremamente importante: al momento ci sono due scelte. Restare isolati nel proprio paese – il che non è realistico in un
mondo globalizzato. L’altra opzione è aprirsi
e essere capace di lavorare in un contesto internazionale. O la nostra
università lo capisce oppure il nostro Paese diventerà isolato,
cosa insopportabile per una nazione come l’Italia.”
È quindi una scelta obbligata, volenti o nolenti
la lingua italiana ha fatto il suo tempo, e se oltre 60milioni di persone ancora non
l’hanno capito, sarà meglio imporre (imporre!) la lingua che è doveroso
parlare. Giusto? Per lavorare in un contesto internazionale bisogna soprattutto
scrivere in inglese, non tanto valorizzare e finanziare la scuola e l’università.
Per questo progetto saranno stanziati ben 5 milioni di euro; che meglio di così
non potevano proprio essere spesi.
In realtà l’abbandono della nostra cultura pare
un peccato persino agli inglesi: “Italy might have been the cradle of the last
great global language - Latin - but now this university is planning to adopt
English as the new common language” commenta Sean Coughlan, corrispondente
della BBC.
“L’Italia avrebbe potuto essere la culla
dell’ultimo grande linguaggio globale – il latino – ma adesso questa
università sta pianificando di adottare l’inglese come nuovo linguaggio
comune.”
Ma la maggior parte degli italiani, a giudicare
dalle interviste riportate dal giornalista inglese e dai commenti che si
trovano in rete, sembra essere d’accordo.
“Anna Realini, che studia per una laurea di
secondo livello in ingegneria energetica, dice
di dover usare l’inglese quando scrive le e-mail durante il suo stage in una compagnia italiana
– ed è criticata se usa l’italiano.
Ma dice di essere d’accordo con il
passaggio all’inglese perché è probabile che aumenterà le sue prospettive
di carriera: “Sono d’accordo con la scelta (…) Se le nostre università ci danno
gli strumenti per usare le nostre conoscenze ovunque nel mondo, è meglio”. Dice
anche che è un modo più conveniente per gli studenti italiani di studiare in un
ambiente internazionale, senza il
costo di studiare all’estero.
Quindi: l’ambiente italiano NON può essere internazionale in italiano. Gli spagnoli e i
francesi ci riescono, ma noi no, se continuiamo a parlare questa lingua così povera e provinciale che è stata la PRIMA lingua
volgare ad adattarsi al linguaggio della
scienza: un certo Galilei ad esempio scrisse in italiano e inventò diversi
termini tecnici tra cui “cannocchiale”.
Anche Luca Maggiolini Cacciamani, che studia
ingegneria dell’automazione, accetta questa necessità. “Attualmente l’inglese é
la nuova lingua comune. Amiamo la nostra lingua, ma possiamo vedere che è
importante utilizzare un linguaggio comune quando
si condivide la ricerca. Quindi è una buona idea”.
Ma dall’altra parte c’è anche una “grande
preoccupazione” avanzata da Antonello Cherubini, che studia ingegneria
meccanica. Dice che studiare in Cina e
negli Stati Uniti gli ha mostrato la forza dell’insegnamento in italiano e
vuole garanzie che questa non sia persa. “Noi studenti italiani spesso non
realizziamo quanto siamo bravi e c’è il rischio che il principale strumento di
comunicazione che abbiamo, la lingua, sia in pericolo,” dice. Ci dovrebbero essere garanzie sul livello
dell’inglese utilizzato dallo staff, ha detto.”
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Giovanni Azzone, rettore del Politecnico di Milano |
Sarà certamente un caso che proprio
quello che ha studiato all’estero è quello che capisce l’importanza della
lingua, e che chiede garanzie sulla qualità dell'inglese parlato! il rischio reale è infatti che si parli un inglese italianizzato sia gramaticalmente che lessicamente che foneticamente. il che ci renderebbe mostruosamente provinciali: dialettali.
In effetti, oltre agli inglesi, qualche voce italiana si è levata
contro questa scelta scellerata, e il personale accademico
organizza una petizione di protesta: sostengono di essere
supportati da 300 professori e assistenti universitari.
Come il Prof. Emilio Matricciani, che ha lanciato
un “appello per la libertà d’insegnamento”, in cui afferma sostanzialmente che
obbligare studenti e personale a parlare inglese in un università pubblica italiana
è sbagliato, non tanto per questioni di prestigio e conservazione culturale; ma
proprio per ragioni linguistico-comunicative.
Ci avverte,
attraverso una metafora eccellente, che nella traduzione si perderà qualcosa
sulla precisione e la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento:
“Parlare
in italiano con i nostri compatrioti è come guardare un film a colori, in alta
definizione, con immagini veramente chiare. Al contrario, parlare in inglese
con loro, anche con il massimo sforzo, è, in media, come guardare un film in
bianco e nero, a bassa definizione, con immagini sfocate.”
In tutti gli articoli pubblicati su questo spazio
ho cercato di far passare questo
concetto senza mai arrivare a esprimerlo così bene. È questo il problema
che nasce dall’adozione senza freni della lingua inglese in Italia. Discorso che
va ben oltre l’insegnamento
universitario ed entra a pieno titolo a corrompere la nostra stessa percezione del mondo e il nostro rapporto, già
disastroso, con le istituzioni (come il ministero del Welfare).
“È evidente quanto l’inglese pervada già la città
[e non solo Milano, ndr]. Sulla metro
locale e sul treno gli annunci sono in
italiano e in inglese, inoltre i siti web in lingua italiana
offrono alternative in inglese. Una
fiera del lavoro all’università é promossa con uno striscione che annuncia
“Career Day”. Nota sempre il
giornalista inglese.
E come dargli torto? Anzi, molti italiani,
partendo da questo dato di fatto, fanno questo ragionamento: ormai l’inglese è ovunque ed è imperante
negli scritti tecnici e scientifici anche se scritti in italiano: abbandonare l’italiano
è quindi la scelta giusta, per non rimanere isolati e per attirare studenti
e docenti stranieri.
Ma quando un italiano va a studiare all’estero,
il viaggio diventa occasione per imparare una lingua straniera, e cioè venire a contatto con una diversa cultura.
La stessa cosa – possibile che non
lo si capisca?– avviene per gli studenti
stranieri che vengono in Italia. Vengono, oltre che per studiare la loro
materia, per imparare una diversa cultura, un diverso modo di descrivere il
mondo, un diverso modo di descrivere la stessa materia che studiano in patria. Insomma, è un modo per aprire la mente, non
rimanere fossilizzati nella propria cultura-lingua.
Non è la
lingua inglese ad attirare gli stranieri, ma il valore dell’Università e
degli insegnamenti. Quando ho studiato in Francia, ho avuto un professore spagnolo, e un professore
portoghese; ma insegnavano in francese. Incredibile! Smettere di usare l'italiano per trattare di scienza significa ridurlo in qualche decennio a essere una lingua povera di certi tecnicismi: cioè renderlo un dialetto. Significa renderci tutti poveri culturalmente, e quindi anche in tutto il resto. Per questo è importante, sopratutto in ambito accademico, conservare e proteggere la lingua, tradurre e adattare ove possibile (nella maggioranza dei casi).
E così, a un livello più generale, i
turisti, in Italia, cercano l’Italia! Mentre noi cerchiamo di
americanizzarci, proponendo loro vari “restaurant”, “B&B” e “pepperoni
pizza”; loro rimangono molto più affascinati da un bel piatto di pasta genuino
e a buon prezzo in trattoria. E rimangono
affascinati dalla bellezza della lingua italiana!; divertiti (entro certi
limiti, che più si abbassano quanto più si va a nord europa) dal modo italiano
di parlare gesticolare e prendere confidenza.
Insomma, loro, gli stranieri, sono attirati da
ciò che abbiamo di più bello, che dovrebbe essere un vanto e che invece lasciamo
alla deriva.
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cartellone indicante il Mcdonald's di fronte al Pantheon (Roma) |
Immaginate il
povero turista che arriva in Italia, all’aeroporto
passa il check-out e il terminal, vede tutte le pubblicità e i nomi dei
negozi in inglese: entra ma nessuno sa
parlare inglese; visita Pompei e la trova cadente, circondato solo da cani randagi e guide abusive e dialettali, che
inventano dati storici e parlano un inglese
maccheronico se lo parlano; ma il biglietto della metro si chiama ticket. Insomma
ciò che dovrebbe essere internazionale lo trova provinciale; ciò che dovrebbe
essere prettamente italiano, è una sbobba finto internazionale (globalizzata). Se
poi qualcuno gli ruba il portafoglio (nonostante ci sia scritto ovunque “beware
of pickpockets”) la sua bella vacanza sarà completa.
Mentre i francesi, spagnoli, tedeschi portoghesi,
greci, slavi, tutelano la propria cultura e la loro lingua, noi lasciamo che i muri di Pompei crollino e
boicottiamo la lingua italiana (e la cultura) proprio nella Milano di
Manzoni. Sono due fenomeni dello stesso processo in atto e apparenteente
inarrestabile.
Un ultimissimo esempio: Quando facciamo un
operazione di valorizzazione italiana,
che pure ha molti meriti, come
EATALY, le diamo un nome inglese (tra l’altro un buon gioco di parole, non c’è
che dire). Questo perché il progetto ha
aspirazioni internazionali. Ma uno straniero cerca l’Italia, non l’Italy! Almeno io, turista a Parigi, evito i ristoranti col menù scritto in inglese... Forse il nome poteva funzionar bene anche in italiano...?
Recentemente il produttore francese Yves
Saint-Laurent ha fatto un profumo. Ovviamente
questo profumo ha aspirazioni internazionali, e l’immagine a cui punta un
profumo è sempre il lusso, lo chic. Come hanno chiamato questo prodotto che
vogliono vendere in tutto il mondo? MANIFESTO. Eh già. L’italiano è una
lingua internazionale, e talmente prestigiosa che una parola italiana, presa
evidentemente per il solo (o quasi) valore fonico, suggerisce un idea di lusso
ed è abbastanza internazionale, almeno
secondo i francesi. I francesi che per noi sono ipernazionalisti, specie in
questioni linguistiche. Noi la
pubblicità di quel profumo la mandiamo in francese, e ci tocca sentire una
voce suadente che dice, sulla Rai, “Manifestò”. Non è ironico?
Insomma, mi sto dilungando davvero troppo, ma il
discorso mi sta a cuore e mi sconvolge vedere come chi la pensi come me sia una
minoranza in Italia. Il punto è: siamo
proprio sicuri che sia l’inglese a renderci internazionali? Non è piuttosto il valore della nostra
produzione tecnologica scientifica e culturale
a portarci ai livelli più alti? In fondo si scrive di scienza in inglese perché
gli anglofoni, nell’ultimo secolo, hanno dominato (oltre che economicamente e
militarmente) in questo campo. E le loro scoperte le hanno scritte nella loro
lingua madre…
Non c'è più nulla da fare, ormai è finito tutto. Addirittura c'è chi sostiene che bisognerebbe abbandonare l'Italiano addirittura come lingua-madre, utilizzando l'Inglese anche tra di noi, in Patria.
RispondiEliminaGià i giovani stanno condannando a morte la cucina italiana, preferendo andare a mangiare quei buonissimi (e sanissimi!) panini da Mc Donald's.
Per non parlare dei nostri neonati, che ormai si chiamano tutti Michael, Kevin, Nicole, e via di questo passo.
Ora buttiamo nel cesso pure la lingua...
Ovviamente tutti felici: wow! wonderful! beautiful!
Ciao,
Vittorio