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don Maurizio (a destra) aggredito verbalmente dal "signor" DeMartino (col dito alzato) |
Il video che da qualche giorno fa il giro della rete e ha suscitato
una valanga di appoggi al parroco “anticamorra” Don Maurizio Patriciello è rappresentativo della nostra società su
più livelli.
(clicca sull'immagine per guardare il video)
Innanzi tutto, la mente non può
non andare a un altro recente episodio:
la presidente della regione Lazio Renata
Polverini che blocca il traffico, prende una via contromano con la sua
bella auto blu… per andare a far compere
in un negozio di scarpe. Insomma, ormai anche i più sprovveduti vedono che l’atteggiamento
della classe dirigente, e dei politici soprattutto, è arrivata a un arroganza tale da non essere più accettabile. Tanto
più quando, come nel caso delle scarpe e in questo del buon prete, la
prepotenza si consuma in modo del tutto gratuito, per motivi futili. Il che la
rende ancora più offensiva.
Nessun motivo infatti poteva essere più futile, e arrogante, di quello
sollevato dal prefetto De Martino: offeso dal’appellativo “signore”. Evidentemente,
sentendosi in difficoltà per la gravità dei problemi sollevati dal parroco, ha sentito il bisogno di fare appello alla
sua presunta superiorità in quanto rappresentante delle istituzioni: per
questo continua – Sgarbi docet
– per più di un minuto, nonostante
le ripetute e umili scuse del prelato , la sua aggressione verbale.
Questa di rispondere gridando, e attaccando la forma, invece del
contenuto, è una meschinità tipica dei
dibattiti televisivi, e, vediamo da questo video, anche quotidiani. Questo è
purtroppo indicativo di una decadenza
linguistica che non è meramente lessicale, ma addirittura semantica, una
carenza di pensiero: non si è in grado di sostenere dei discorsi ad un livello
di coerenza minimo richiesto da qualunque mente non totalmente sprovveduta.
Ma dato che i prefetto fa un
obiezione sulla forma, ci invita a nozze; e gli rispondiamo in questo campo,
per filo e per segno.
Ciò su cui vi invito a riflettere è soprattutto la questione degli
appellativi in Italia. Sapevate che l’Italia è l’unica Repubblica che ha
dei “titoli”; anche se ‘borghesi’, e non nobiliari? È una abitudine ereditata
di reverenza contadina: “dottore” “professore” “avvocato” ecc.
Questa abitudine è legata al fatto
che mai in Italia c’è stata una vera rivoluzione; nei paesi, Francia in primis,
dove questa è avvenuta, non solo ci si
rivolge a chiunque dal politico all’idraulico con l’appellativo Monsieur; inoltre il grado sociale,
cioè il mestiere, non è, per i francesi, una informazione da mettere nella
carta d’identità.
Quando il prefetto De Martino aggredisce il mite parroco di periferia, non
solo compie un atto di estrema arroganza,
ma anche di estrema ignoranza: non
si rende conto cioè di fare una
prepotenza che appartiene, per l’Europa civilizzata, a una classe sociale estinta ben due secoli orsono. E questo lo
rende mostruosamente più arrogante.
Per quanto riguarda la forma del
prefetto, poi, c’è molto da dire. Egli interrompe
il pacato discorso del prete con un tono
di voce troppo alto; e già questo è offensivo.
Inoltre abusa evidentemente della propria posizione sociale per dare
forza al proprio discorso, fa cioè una prepotenza;
e col chiaro intento di mettere in
difficoltà l’interlocutore, ne contesta l’uso linguistico: è, quindi, aggressivo.
Contestare a qualcuno il modo di
usare una parola nella propria madrelingua non è, in verità, un’operazione
molto spesso giusta; anzi, la maggior parte delle volte è il ‘censore’ a
sbagliarsi. Ma comunque, sempre, equivale
a dare a chi si ha di fronte dell’ignorante, cioè insultarlo, ponendo se
stessi in cattedra. Per cui, se qualcuno è stato offeso, lo abbiamo dimostrato “scientificamente”,
è stato il parroco.
Quel cambiamento e miglioramento
culturale (e quindi linguistico, e quindi sociale) che sarebbe auspicabile per
questo paese dovrà passare anche per questa
tappa: smettere l’uso di appellativi obsoleti (come ‘dottore’) e spesso
ironici (come ‘onorevole’), e smettere l’arroganza
di pretenderli. Considerarci e chiamarci tutti “uomini” (e “donne”): “signori/e”.
Proprio perché le parole sono
importanti; concetto che il prefetto De Martino capisce e sfrutta.
Ant.Mar.
Mi viene solo adesso in mente che Paolo Villaggio, tanti anni fa, già aveva colto questa bislacca usanza italiana e l'aveva egregiamente ridicolizzata in Fantozzi con i famosi titoli "megadirettore galattico", per non dire "ladr. ingegner. di gran croc. figl. di put. lup.man.". Inoltre ricorderete che Fantozzi si rivolge ai suoi superiori con titoli del tipo "maestà" "onnipotente" "sire"... ecc.
RispondiEliminanon comportiamoci da sottoposti, da Fantozzi.