A partire
almeno dall’undici settembre in occidente si è diffusa una paura dell’islam che
a volte sfiora il ridicolo, spesso entra nel tragico. Certo gli attentati
terroristici sono una realtà, ma che rappresentino davvero un pericolo per l’occidente
è tutto da dimostrare. Soprattutto i terroristi, i talebani, al qaeda,
chiamateli come vi pare, hanno scarsissimo seguito nell’oriente musulmano; e
quando ce l’hanno è perché sono l’unica forza che si oppone, con la violenza,
alla violenza dello straniero colonizzatore (che saremmo noi). Ma quel che più
conta è che questa paura, dall’America all’Europa è diffusa e creata ad arte, non
solo contro gli islamici ma anche contro gli extracomunitari, gli omosessuali
ecc.
venerdì 21 settembre 2012
domenica 9 settembre 2012
"OCCUPAI" WALL-STREET
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Alberto Arbasino |
"OCCUPY" si pronuncia, come è noto, "occupai". Ma in italiano, non è un passato remoto?
L'intento è provocatorio. L'idea parte dal mondo anglosassone, con la famosa iniziativa "occupy wall-street", ed è subito rimbazata in tutta Europa, e in Italia, con la manifestazione che a suo tempo fu chiamata "occupy Roma". Ma, sembra chiedersi Arbasino, perché dire "occupai Roma", quando lo si sta (stava) facendo adesso e non in un passato remoto; lo si sta facendo in tanti, e non uno da solo ("occupai" è prima persona), e lo si fa nella speranza, per di più, che la cosa si ripeta nel futuro? Meglio il presente "occupiamo", che ha un valore continuativo, di cosa fatta regolarmente.
Provocazione abbastanza fine a se stessa, ma interessante in quanto forse dimostra che timidamente le menti italiane cominciano ad accorgersi della maladirezione intrapresa (linguisticamente, ma anche, ed è più importante, politicamente) e cominciano, forse, timidamente, a pretendere una propria identità, una propria diversità, una propria indipendenza di pensiero; cioè un'indipendenza linguistica.
O no?
Ant.Mar.
sabato 8 settembre 2012
PIGS: STORIA DELLA PAROLA E QUESTIONI EUROPEE
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I PIGS, qui con Irlanda, senza Italia. |
Da qualche anno sui giornali si trova il termine PIGS, che tutti ormai
riconosciamo come acronimo di Portogallo-Italia-Grecia-Spagna: quei paesi che vivono attualmente una crisi economica che rischia di spazzarne
via le ricchezze, i servizi, persino molti diritti individuali e collettivi.
Ma simultaneamente l’acronimo PIGS viene riconosciuto da tutti (o quasi) anche come
“pigs”, "maiali" in inglese. Difatti, anche se sui giornali italiani si trova
spessissimo, l’acronimo ha assunto, fin da subito, proprio in virtù della
sua doppia lettura, un valore negativo, dispregiativo verso quei paesi cui si
riferisce.
Da Wikipedia:
“PIGS, PIIGS
(o GIPSI), PIIGGS e PIGGS sono acronimi utilizzati da
giornalisti economici, per lo più di lingua inglese, per riferirsi a diversi
paesi dell'Unione europea. Si tratta di acronimi
dispregiativi ma usati anche come termini tecnici, con cui si accomunano
paesi contraddistinti da situazioni finanziarie non virtuose.”
Facciamo una breve storia di
questa parola. L’acronimo PIGS, pare abbia cominciato
a circolare sui giornali in lingua inglese dagli anni novanta, indicando
fin da subito -stando a Wikipedia in italiano e in inglese, i francesi non sono d'accordo- i quattro paesi del mediterraneo che abbiamo detto. Tra parentesi
è interessante notare che il modello europeo attuale, cioè Franco-tedesco, non
regge proprio in quei paesi organizzati diversamente, per varie ragioni
culturali e storiche: i paesi mediterranei. Più tardi la I di Italia è stata affiancata a un’altra I, di Irlanda,
(PIIGS) o sostituita con questa. Più recentemente ancora è stata aggiunta una G
(PIGGS o PIIGGS), di Gran Bretagna.
Ufficialmente, però, la parola è
in un certo senso “morta” nel 2008, cioè quando
i portoghesi e gli spagnoli si sono indignati. Si sono indignati perché,
come riporta ancora Wikipedia:
“PIGS è un termine dispregiativo e razzista; a
causa di questa connotazione, il quotidiano Financial Time e la banca Barclays Capital
hanno deciso di bandire l'uso del termine.”
Quindi, anche se per questioni
extralinguistiche, ecco un'altra parola
che gli inglesi non usano, ma gli italiani sì. La cosa interessante è notare
che la Spagna e il Portogallo non ci sono stati, a farsi chiamare “maiali”; mentre
gli italiani, forse per un certo (giustificato) senso di colpa, ma anche per
abituale servilismo di fronte al mondo anglosassone, sono stati al gioco. Pure questioni anglosassoni, il famigerato "politicamente corretto" da noi, per fortuna, non ha mai attecchito. Ma è solo questione di "correttezza"? È interessante,
dico, chiedersi perché la polemica da
noi non è arrivata, o è arrivata in maniera molto ovattata, e con toni
comunque sottomessi. Cito un articolo antico del Sole24ore, che prende spunto,
per far notizia, da uno scritto in cui un economista inglese sostituisce la I di
Italia con quella di Irlanda invece di metterne due, come fanno altri. Ovviamente la scelta è dettata dai temi toccati dal giornalista inglese, che non
parlava dell’Italia. Ma per noi, tanto
basta per titolare fieri: “L’Italia esce dal club dei Pigs”. Il giornalista
del Sole24ore conclude:
“Bontà loro... È
ingenuo pensare che sia possibile anche solo inquadrare i problemi economici
con un gioco di parole, per qualcuno forse divertente, per altri puerile. È pure ingeneroso: la Gran Bretagna è
stato l'ultimo grande europeo a uscire dalla recessione, non ha conti pubblici
in ordine e ha visto il suo modello di sviluppo andare in frantumi. Gli Usa
hanno causato la crisi e hanno un deficit mostruoso. Un po' di modestia non guasterebbe.”
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vignetta sui PIGS, con Italia e Irlanda |
Il tono è decisamente più pacato,
di chi accetta con deboli obiezioni; rispetto a spagnoli e portoghesi che
direttamente accusano gli anglosassoni di razzismo, anche con affermazioni
chiare di uomini politici di primo piano (cfr Wikipedia). Noi
italiani abbiamo invece, fin da subito, adottato la parola, come abbiamo
fatto con molte altre dall’inglese; e continuiamo a usarla, siamo rimasti soli,
ma continuiamo. È una parola
dispregiativa contro noi stessi, ma continuiamo a usarla, alla faccia delle
polemiche. Questo è un buon indizio, mi pare, della nostra volontaria e devota sottomissione alla cultura dominante, quella
anglosassone.
Dall’altra parte, però, bisogna
osservare che anche gli anglosassoni ci mettono del loro, dimostrando ancora
una volta il loro disprezzo per la cultura latina. È vero che sono proprio i paesi del mediterraneo a soffrire di questa
crisi, ma proprio per questo è lecito chiedersi se non sia un errore di
sistema, visto e considerato che i PIGS hanno marcati tratti culturali in
comune; domandarsi se non ci sia troppa “germania” nel modello di mercato europeo, che per
questo non ha retto nei paesi latini. Inoltre, mi si dica pure che esagero, sono i paesi del mediterraneo a vedere la loro sovranità minacciata in nome di un’unione (quella europea);
e questi stessi paesi stanno subendo, da
anni ormai, e da più lati, una vera campagna denigratoria. Ci dicono di "fare i compiti", minacciano di mandare ispettori esterni in Grecia... È forse un po’
forzato rapportare il sud dell’Europa al sud dell’Italia e a come venne
defraudato di tutto, in nome dell’unità (d'Italia)?
È forzato vedere nel termine PIGS un equivalente internazionale del
termine “terroni”? Forse no, se andiamo a vedere in che modo è stata
sostituita, dagli anglosassoni, la parola che spagnoli e portoghesi tanto veementemente hanno criticato: “GIPSI”. L’acronimo è lo
stesso; non c’è più la questione della I, se sia Italia o Irlanda: sono tutte e due. Eppure ricorda in modo inequivocabile “gipsy”;
zingaro, in inglese. A prima vista si potrebbe obiettare che, proprio per
la doppia I, ormai l’Irlanda è inclusa inequivocabilmente nel gruppo dei
maiali. E l’Irlanda certo non è un paese mediterraneo… No; ma è uno dei paesi
europei che con più forza ha osato opporsi a certe basi costitutive di QUESTA
Europa. È l’unico paese, l’Irlanda, a
parte quelli del sud, con una forte presenza cattolica; ossia in cui la religione ha ancora ("purtroppo" è un altro discorso) un peso nelle scelte degli stati, delle masse, dei singoli. Il che vuol dire
una società e una mentalità formate in un certo modo, diverso dal modello
anglo-protestante che domina l’Europa attuale. non più "terroni" (PIGS) ma poveracci, diversi e disprezzabili GIPSI. Anche l‘Irlanda;
anche lei fa parte degli inassimilabili e, per questo,
fastidiosi zingari.
A questo punto, dato che anche il
secondo acronimo sa di insulto (insulto ancor più grave e più razzista, che implica anche gli zingari) ci si potrebbe forse
arrendere alla potenza del linguaggio, che crea parole e sensi dove a priori non
ce ne sono. Autoaccusarci de dietrologia e perbenismo. Oppure si potrebbe dar ragione agli spagnoli, che ritengono il
termine razzista, e smettere di usarlo; e non tanto perché anche Gran Bretagna
e America hanno problemi di bilancio; ma perché dobbiamo prendere consapevolezza che è il modello che ci hanno -e che
ci siamo- imposti, non si applica ai nostri paesi, quelli latini. Con questa
coscienza si potrebbe, se noi volessimo, e se volesse anche la controparte, partecipare attivamente, da pari, al dibattito a Bruxelles,
e spingere l’Europa del sud verso il suo carattere reale: mediterraneo, con i pro e i contro di questa civilizzazione. Con i pro (che sono tanti) e i contro del contatto con paesi diversi da noi.
Unità e omologazione non sono la stessa cosa. Uguaglianza dell’individuo
(o della nazione) di fronte agli altri, non implica necessariamente uguaglianza
di tutti di fronte a un modello unico (quello, ovviamente, del più forte), non
implica l’omologazione.
Ant.Mar.
mercoledì 5 settembre 2012
A CHE PRO INSEGNARE INGLESE A SCUOLA?
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Logo dell'ERA |
Il 10
agosto 2012 il segretario dell’Associazione Radicale Esperanto (Esperanto Radikala Asocio; ERA) Giorgio Pagano ha pronunciato un discorso interessante e giusto, tranne che su alcuni punti. L’ottica da cui esamina la questione della
lingua italiana, in particolare per quel che riguarda l’economia linguistica, è
basata sulle idee dell’associazione che rappresenta, che si batte per l’imposizione
dell’esperanto come lingua internazionale. Abbiamo già trattato su questo
giornaletto il tema nell’articolo “inglese vs esperanto”. Riassumendo, in quell’articolo
cerchiamo di spiegare le condizioni per cui non è verosimile che l’esperanto
venga mai eletto a questo ruolo. Il problema è che questi militanti non
considerano la lingua nelle sue reali implicazioni politiche e persino
militari; non si rendono conto cioè che le lingue prestigiose, che vengono prese
come lingue internazionali, lo sono in quanto portatrici e rappresentanti della
cultura dominante in un preciso dominio storico. Dominante non solo e non per
forza militarmente, ma spesso; sempre dominante economicamente; che vuol dire
anche culturalmente. Il fiorentino in Italia sicuramente si è imposto per il prestigio
datogli dalle "tre corone"; ma bisogna pure sempre tener presente quale potenza economica
fosse Firenze e la Toscana allora in Europa e (quindi) nel mondo.
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G. Pagano. Sergretario dell'ERA |
La lingua è quindi fortemente legata a questioni della
società, della politica, dell’economia. Proprio sul potenziale economico dell’incoraggiamento nell’uso e nell’insegnamento
della lingua italiana parla l’intervento di Giorgio Pagano; che tra l’atro
dice:
“L'Italia
non può continuare a favorire invece
il processo di scalata inglese
distruttiva della lingua italiana, con gli enormi costi di risorse
umane e finanziarie che vanno ad ingrandire sempre di più il mercato anglo-americano e a restringere
inesorabilmente quello italiano e dei nostri giovani, costretti ad impiegare
12.000 ore della loro vita per favorire il monopolio
linguistico inglese e a sfavorire la loro stessa lingua".
Che il “processo di
scalato inglese” sia distruttivo per la lingua italiana, è un’idea che mi trova
d’accordo, anche se gran parte dei linguisti accademici non lo sarebbe. Io stesso inviterei alla prudenza; “distruttivo”
non lo è ancora; lo sarà presto se la tendenza continua così forte e senza
nessun ente che funga da filtro (non di controllo) come hanno le altre lingue
europee. Ma lanciare l’allarme è una
cosa che mi sembra giusta e doverosa, e che nel mio piccolo faccio, in questo spazio.
Quanto segue, delle parole di Giorgio Pagano, è assolutamente giusto, e per di
più evidente: il mercato “in italiano” è tutta una fetta di mercato che è
penalizzata dall’anglicismo imperante. Ma
sarebbe vero se gli italiani sapessero l’inglese! Cosa che - è sotto gli
occhi di tutti - non è. E i turisti per primi se ne lamentano. Prova ne sia che
il regolamento di twitter, per gli utenti italiani, è tradotto (leggi articolo).
Cioè, si è creato del lavoro, c’è stato bisogno di un servizio.
Più avanti Giorgio Pagano sembra
suggerire allora che non si insegni altro che l’italiano, sai quanto lavoro! quando afferma che:
“La
Gran Bretagna sul non insegnamento della lingua straniera
nelle proprie scuole risparmia 18 miliardi di Euro l'anno, mentre l'Italia ne
spende 60, di miliardi l'anno, per colonizzare
la mente dei propri giovani nella sola lingua inglese.”
Molti neuro-linguisti affermano che sapere una lingua straniera aumenta la capacità di riflessione metalinguistica e quindi la conoscenza interna (o intima) della propria lingua materna; gli italiani, infatti, di questa consapevolezza ne hanno ben poca. Proprio per questo, d’altronde, non abbiamo le difficoltà che hanno spagnoli francesi greci portoghesi tedeschi ecc ad accettare parole straniere non adattate. Sarebbe quindi auspicabile che accanto a un insegnamento migliore della lingua italiana nelle scuole italiane si insegni, più degnamente di quanto non si faccia oggi, anche le lingue straniere; e, perché no, i dialetti e la letteratura dialettale migliore di tutte le regioni. "Colui che non sa le lingue straniere, non sa nulla della propria." (Johann Wolfgang von Goethe)
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un volantino dell'ERA |
Se la Gran Bretagna,
che non ha un sistema vero di istruzione pubblica, vuole far restare ignoranti
i propri cittadini questi sono affari suoi; d’altra parte gli inglesi, forse è sfuggito a qualcuno, parlano inglese. Cosa dovrebbe
fare l’Italia? Non insegnare l’inglese nelle scuole, per risparmiare soldi? Ma siamo
seri, per favore! È FONDAMENTALE che si insegni inglese a scuola; anzi, lo si insegna poco! E bisognerebbe
anche farci studiare una seconda lingua straniera, magari meno
approfonditamente, darci un infarinatura anche di spagnolo, o francese, o
tedesco, o greco moderno. Una seconda
lingua proprio per non “colonizzare la mente dei propri giovani”; cosa che
accadrebbe se insegnassimo solo l’italiano. Cosa che accade quando, insegnando
l’italiano, non facciamo alcun accenno ai dialetti e alle letterature
dialettali.
Ma, ancora, ha ragione
Giorgio Pagano a lanciare un allarme: non
c’è pericolo che si smetti di insegnare inglese; il pericolo è che si smetti di
insegnare (in) italiano! Come chi legge saprà, una delle proposte più
spaventose dell’attuale ministro della pubblica istruzione Francesco Profumo è quella
di istituire dei corsi interamente in
inglese per attirare studenti stranieri. Roba da far tremare le ginocchia. Qui
davvero si può usare la parola colonialismo.
Solo che il nostro è un
colonialismo quasi autoimposto; “quasi” perché le pressioni anglicizzanti
sono certamente forti; ma noi, in Italia, le accettiamo immediatamente e in
certi casi, come questo, ce le
inventiamo noi, queste pressioni. Credete forse che per attirare studenti
stranieri la Francia, o la Spagna,
facciano corsi in inglese? Lo fanno, e solo per le materie economiche, gli svedesi, e altri popoli che non hanno una forte tradizione linguistica;
cosa che oi italiani infatti abbiamo solo a metà; solo per iscritto. E lo fanno
i cinesi, che per attirare gli occidentali, davvero non possono pretendere che
sappiano il cinese tanto bene da seguire un corso universitario.
Andare, per un
italiano, a studiare all’estero è anche
un occasione per imparare veramente una lingua straniera. Quello di cui non
ci rendiamo conto è che i tedeschi, i francesi, gli spagnoli, che vengono in Italia a studiare, vengono anche
loro per conoscere una lingua, una cultura, diversa. E i turisti, che
vengono in Italia, in senso metaforico, non cercano pizzahut; ma la Pizza. Come noi a Parigi cerchiamo le crepes.
Una volta un francese mi chiese come si dice “ordinateur”
in italiano. Gli risposi “computer”, e lui ne rimase stupito, un po’
divertito-un po’ infastidito; mi ricordò la reazione di una ragazza americana, una volta, nell’accorgersi che di fronte al Pantheon, a Roma, ci abbiamo piazzato
un bel Mcdonald’s. Mi disse che a lei, da straniera, sarebbe piaciuto
trovarci una specie di “pizza-pasta fast-food”
… (vabbè, gli americani…).
Counque sia, l’italiano
non si protegge non insegnando l’inglese; ma
insegnando meglio l’italiano e di più l’inglese. Dividerli, ognuno nella
propria bellezza e potenza di lingua; avere coscienza di entrambi come di due
idiomi distinti, di modo che, forse, sviluppando meglio la riflessione
metalinguistica, saremo meno pigri nella traduzione e eviteremo certi inutili
intrusi nella nostra lingua.
Per rispetto innanzi
tutto della nostra lingua italiana, e poi anche della bella lingua inglese.
Ant.Mar.
lunedì 3 settembre 2012
PAROLE INGLESI INTRADUCIBILI(?) IN ITALIANO
Filippo La Porta |
Sul Messaggero un
articolo di Filippo La Porta introduce il libro, che pur non avendo (ancora)
letto consiglio a chiunque, “Cercasi Dante disperatamente” di Massimo
Arcangeli, edito da Carocci. Non voglio però dilungarmi su tutto ciò che scrive
La Porta, che si può leggere qui; vorrei invece spendere due parole su una piccola riflessione che mi ha stimolato un
breve passaggio del suo articolo.
Questo:
“Parole come mobbing o happy hour o shopping sembrano intraducibili, e in verità le soluzioni proposte per tradurre certi
termini inglesi, benché ingegnose, non
sempre sono convincenti: ad es. per blog iperdiario o bordiario (diario di bordo), per chat chiaccheratoio o cianciaio, per
spamming ciberrifiuto o infondizia.”
Cominciamo da
Mobbing. Come tradurlo?
Pare un impresa ardua, persino per un letterato-intellettuale del calibro
indiscusso di La Porta. Ma basta andare su Wikipedia (e qui mi incazzo, perché i
nostri intellettuali paiono pigri) per leggere che “mobbing” è un termine
comune... in Italia!
Cito:
“Nei paesi anglofoni, per
indicare la violenza psicologica sul posto di lavoro, che in Italia, abbiamo
visto, è l'accezione più comune di mobbing, si utilizzano lemmi più
specifici: harassment (utilizzato anche per molestie domestiche), abuse
(maltrattamento), intimidation (intimidazione).”
Mobbing,
è semplicemente una parola inutile,
che crea un’astrazione puramente burocratica, che neanche gli inglesi usano. Siamo ridicoli.
Ma
la pigrizia di non voler vedere in italiano parole inglesi si vede ancora di
più in “fare shopping”, che è
semplicemente “far compere”, risemantizzato di poco; cioè, sicuramente con
una sfumatura diversa da come lo dicevano i nostri avi, ma una sfumatura. E in “happy hour” che è semplicemente “ora dell’aperitivo”,
o meglio “aperitivo” e basta; poco importa che, ormai, c’è l’usanza, presa dal
mondo anglosassone (credo), di far pagare meno gli alcolici in quel lasso di
tempo. C’è bisogno di una nuova parola per indicarlo? È semplicemente l’aperitivo!
È lo stesso caso di
blog; siamo
rimasti fregati proprio dal fatto che, usando
una parola diversa da “diario”, (blog, appunto), ci siamo convinti che le due
parole non possano indicare la stessa cosa, pur con supporto e portata
differenti. Per cui vengono proposte traduzioni che, come dice La Porta, “non
convincono”. Ma che bisogno c’è di dire “iperdiario”? Diario, semplicemente. La
parola preesistente si arricchisce di una nuova sfumatura. Blogger sarebbe
forse “diarista”, se proprio vogliamo il sostantivo; altrimenti credo che si
direbbe con forma analitica “scrivo (su) un diario” piuttosto che “sono un
diarista”. Mi piace immaginare chi legge
che storce il naso di fronte a queste parole. Personalmente non partirei
dall’idea inglese del “diario” (cioè incentrata sul carattere personale, ma
dall’idea di “pubblico. Perciò “giornaletto”
mi convince di più, è la traduzione che propongo io; magari con annesso un
divertente “giornalettista”.
La
riflessione che tutto ciò mi ha stimolato è che proprio l’adottare in primis
le parole inglesi ci blocca in una specie di limbo per cui non osiamo più
sforzarci di trovare un corrispettivo italiano. Mi sembra che da questi
brevi esempi si veda abbastanza bene.
Nel
caso di mobbing abbiamo preso una parola che nella lingua originale vuol dire
tante cose; tante cose tutte già espresse una per una in italiano. In generale
mi pare che si possa accettare una traduzione come “violenza”, oppure, seguendo i francesi che lo dicono "harcèlement", lo tradurrei con "molestia". Insomma un
termine di cui bisogna poi chiarire la natura. Ma noi lo
usiamo nel senso di "violenza psicologica sul lavoro"; una cosa non poi
così nuova, se nella storia ci sono state diverse lotte contadine e
operaie... La parola è nuova; e per questo ci siamo convinti nella "novità" del concetto che esprime.
Nel caso di happy hour, allo stesso modo, ci siamo creati un “oggetto” virtuale, un aperitivo che non è aperitivo, sebbene ne abbia tutta l’aria. Con blog ci siamo creati una distinzione non per forza necessaria. Come Nipote, che per noi è sia maschio che femmina (senza distinzione); mentre per gli inglesi la distinzione conta, e usano due parole per indicare di volta in volta il genere.
Nel caso di happy hour, allo stesso modo, ci siamo creati un “oggetto” virtuale, un aperitivo che non è aperitivo, sebbene ne abbia tutta l’aria. Con blog ci siamo creati una distinzione non per forza necessaria. Come Nipote, che per noi è sia maschio che femmina (senza distinzione); mentre per gli inglesi la distinzione conta, e usano due parole per indicare di volta in volta il genere.
Ovviamente
non è sempre così facile tradurre e
parole inglesi. La spam è la "posta spazzatura"; non c'è bisogno di inventarsi
bizzarre parole composte; ma la versione italiana, secondo alcuni, non può competere in immediatezza con "spam".
Insomma,
non dico di tradurre proprio tutto; alcune eccezioni si possono fare, si devono
fare. "click", da cui "cliccare", è efficace, persino simpatico, certamente internazionale di sua natura, grazie all'onomatopea che esprime. Ma vorrei che la smettessimo di bistrattare la lingua italiana, e di
essere così pigri e supini di fronte
alla lingua dei potenti di turno.
Mi chiedo il perché di quella valanga di parole inglesi che avremmo potuto tradurre facilmente, e quell’altra più grossa valanga di parole inglesi di cui proprio non avevamo bisogno, per non parlare di quelle che ci siamo proprio inventati noi, perché tutto questo ammasso di inutilità, banalizzazione e servitù è arrivato senza che nessuno se ne sia accorto? Forse proprio perché è stato così veloce che ci siamo intrappolati da soli nella credenza che queste parole che noi percepiamo come nuove debbano necessariamente indicare cose nuove, concetti inesistenti prima, o in Italia.
Mi chiedo il perché di quella valanga di parole inglesi che avremmo potuto tradurre facilmente, e quell’altra più grossa valanga di parole inglesi di cui proprio non avevamo bisogno, per non parlare di quelle che ci siamo proprio inventati noi, perché tutto questo ammasso di inutilità, banalizzazione e servitù è arrivato senza che nessuno se ne sia accorto? Forse proprio perché è stato così veloce che ci siamo intrappolati da soli nella credenza che queste parole che noi percepiamo come nuove debbano necessariamente indicare cose nuove, concetti inesistenti prima, o in Italia.
Vorrei
che l’unica cosa che ci rende italiani, la
nostra forza di espressione, - in lingua, cucina, arte, architettura, atti - fosse riconquistata. Siate italiani;
che è un modo di essere-vivere-mangiare-parlare, non un colore, non una razza. Siate, semplicemente, non omologatevi al modello anglosassone.
La lingua che parliamo è solo uno dei tanti segni della decadenza (quello che so osservare io) di tutti noi come individui completi. Ma si ricollega a come stiamo cambiando le abitudini alimetari; se stiamo raggiungendo i tedeschi e gli inglesi per tasso di obesità; come li stiamo raggiungendo nel tasso di consumo di alcolici, e di come stiamo cambiando politica, verso una privatizzazzione massiccia di beni comuni e statali, come prescrive il più feroce modello liberalista anglosassone. Di come non leggiamo più libri che non siano Best-sellers americani... ecc ecc
Resitenza mentale ci vuole, per restare come siamo, ed evolvere nella NOSTRA direzione, comune agli altri paesi europei, non identica.
La lingua che parliamo è solo uno dei tanti segni della decadenza (quello che so osservare io) di tutti noi come individui completi. Ma si ricollega a come stiamo cambiando le abitudini alimetari; se stiamo raggiungendo i tedeschi e gli inglesi per tasso di obesità; come li stiamo raggiungendo nel tasso di consumo di alcolici, e di come stiamo cambiando politica, verso una privatizzazzione massiccia di beni comuni e statali, come prescrive il più feroce modello liberalista anglosassone. Di come non leggiamo più libri che non siano Best-sellers americani... ecc ecc
Resitenza mentale ci vuole, per restare come siamo, ed evolvere nella NOSTRA direzione, comune agli altri paesi europei, non identica.
Ant.Mar.
domenica 2 settembre 2012
SHOWINISMO E SCIOVINISMO
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clicca sull'immagine per trovare un esempio reale di "showinismo" |
Cari amanti e conoscenti della lingua italiana, ho una triste scoperta da comunicarvi. L'impensabile è accaduto, un nuovo mostro è nato, si chiama SHOWINISMO.
Non è un semplice errore di scrittura che gira in rete; è proprio una parola inventata, scaturita dall'ignoranza totale degli italiani per quel che riguarda la propria lingua. Un articolo su lapresse.it segnala questo ennesimo e travolgente strafalcione. La parola "sciovinismo", derivante dal francese "chauvinisme" e adattata (eh si, all'epoca se non traducevamo, adattavamo), è stata reinterpretata all'inglese, e per assonanza con "show", è usata nei blog col significato di "esibizionismo".
Avrei dovuto prevederlo quando mi sono accorto del primo segnale in questo senso; cioè quando ho notato che negli scritti anteriori (circa) agli anni 60, si scriveva "choc", alla francese, mentre oggi la stessa parola è scritta in inglese, "shock".
Era solo il primo segno, lo stesso processo ha portato a "showinismo"; l'inglese attacca anche quelle parole straniere che prima della sua influenza si erano imposte nella lingua italiana. Finché non rimarrà solo lui, l'inglese; o meglio un itanglese sfilacciato e superficiale; un nuovo dialetto che ci porteremo per secoli addosso fino a un nuovo Dante capace di innalzarlo a Lingua, di nuovo.
Esagerazioni o lungimiranza? A volte me lo chiedo; poi trovo "showinismo", e divento, per un momento, uno "sciovinista linguistico".
Ant.Mar.
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