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giovedì 4 luglio 2013

L'INSEGNAMENTO DELLA LINGUA ITALIANA NEL MONDO RISCHIA DI MORIRE



Laura Garavini (PD)

LA CAUSA: All’epoca dei mostruosi tagli del governo Monti (che furono solo gli ultimi e più feroci di una serie di tagli trentennale) ai finanziamenti alle scuole di italiano all’estero, vi fu un incontro al Ministero degli Affari Esteri, proprio per riflettere su come affrontare gli anni a venire avendo meno della metà delle risorse necessarie. Il risultato di cotanta riflessione fu, più o meno: “si è vero, non abbiamo più una lira, ma se ci vogliamo bene e ci sforziamo tutti, ce la possiamo fare.” Tanto che intitolai l’articolo che ne trattava “TANTO FUMO E NIENTE ARIOSTO”. 

Avevo ragione ad essere pessimista? Oggi, a quasi un anno di distanza, vediamo gli effetti di questa scelleratezza:

L’EFFETTO: Laura Garavini, il 28 giugno scorso, ha presentato in Commissione Affari Esteri una interrogazione urgente inerente la Scuola italiana di Asmara, (Fonte) che possiamo prendere tranquillamente come esempio per tutte le altre scuole, come la stessa Garavini lascia intendere. Ma vediamo cosa ha dichiarato: “La normale ripresa dell'anno scolastico presso la Scuola statale italiana di Asmara è a rischio. E lo stato di sofferenza di questa scuola pubblica italiana dimostra come, in generale, l´insegnamento della lingua e cultura italiana all´estero rischi il collasso a causa dei tagli apportati negli anni scorsi dai Governi Berlusconi e Monti”.

“La situazione ad Asmara é aggravata dalle restrizioni previste dalle autorità eritree che
peggiorano ulteriormente lo stato di sofferenza in cui versa l´istituto a causa della riduzione del contingente di docenti italiani all’estero, deliberato dalla spending review dal Governo Monti. L´Eritrea prevede una durata massima di soli cinque anni per i permessi di lavoro, così che molti docenti di ruolo devono rientrare senza poter essere sostituiti, dimezzando di fatto il corpo docente”.

sabato 29 giugno 2013

BUROCRATESE: ABROGATA LA NORMA SULLA CHIAREZZA DEL LINGUAGGIO



LA NORMA ABROGATA: Mentre da una parte i linguisti italiani si danno da fare per sconfiggere la piaga sociale che è il burocratese (“il linguaggio inutilmente complicato ed ermetico in uso nella pubblica amministrazione”, secondo la definizionedella Treccani), tra cui la recente iniziativa di Zanichelli di cui abbiamo parlato QUI, lo Stato fa di tutto invece per ingrossare quel muro di indifferenza che c’è tra le istituzioni e i cittadini. 

Dopo dodici anni è stata cancellata la cosiddetta norma Bassanini (promulgata dal ministro Frattini nel 2001), che obbligava i dipendenti pubblici “ad adottare un linguaggio chiaro e comprensibile” coi cittadini italiani. Non che la norma sia mai stata osservata, in realtà, e il burocratese non ha mai smesso di perseguitare i poveri italiani – ulteriore ostacolo alla già lenta e malconcia burocrazia peninsulare.

Ma disattendere una norma è molto diverso dal cancellarla: non avere più l’obbligo di esser chiari – conoscendo i dipendenti pubblici italiani – potrebbe essere percepito, di fatto, come un invito all'oscurità. Non solo nei testi legislativi che costringono il cittadino, e le stesse istituzioni, a barcamenarsi nella confusione e ad affidarsi ai tecnici del cavillo (la figura del notaio, altrimenti, sarebbe inutile, come è inutile – inesistente – in molti paesi civilizzati), ma anche nelle sentenze dei tribunali che, pure, in base all'articolo 546 del Codice di procedura penale, già dovrebbero essere sempre “concise”.